Siria, il giorno più sanguinoso pallottole sui manifestanti oltre 70 morti in tutto il paese

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BEIRUT – Le forze di sicurezza siriane venerdì hanno affrontato a colpi d’arma da fuoco le migliaia di manifestanti scesi in strada in almeno 20 città , fra cui Damasco, dopo le preghiere di mezzogiorno, uccidendo almeno 73 persone nel giorno più sanguinoso dall’inizio delle proteste in Siria: lo riferiscono dimostranti, testimoni e resoconti diffusi sui siti di social network. 

L’ampiezza delle proteste, e il fatto che la popolazione sia disposta a sfidare il massiccio schieramento di forze di sicurezza, dipingono un quadro di disordini in uno dei Paesi più repressivi del mondo arabo. In scene mai viste fino a poche settimane fa, i dimostranti, in due cittadine nei pressi della capitale, hanno fatto a pezzi immagini del presidente Bashar al-Assad e hanno abbattuto statue di suo padre, Hafez al-Assad.
Nonostante il bagno di sangue, le proteste non hanno raggiunto quell’adesione di massa vista durante le rivoluzioni in Egitto e Tunisia. Gli organizzatori dicono che il movimento è ancora agli albori e il governo, che poggia su 40 anni di inerzia istituzionale, ha ancora sotto controllo la lealtà  dei militari, l’élite economica e parte delle minoranze cristiana e islamiche eterodosse che temono il crollo dello Stato.
«Ci sono indicazioni che il regime ha paura, e questo contribuisce alla forza delle proteste, ma siamo ancora agli inizi», dice Wissam Tarif, il direttore di Insan, un gruppo siriano per i diritti civili. «Certamente non abbiamo visto scendere in piazza le migliaia di persone viste in Egitto o Tunisia. I numeri sono ancora ridotti: è una realtà  che dobbiamo riconoscere». 
Nella capitale Damasco, che è la vetrina del quarantennale dominio della famiglia Assad sul Paese, centinaia di persone si sono radunate dopo le preghiere alla moschea al-Hassan. Alcuni di loro scandivano «Il popolo vuole la caduta del governo», slogan ricorrente nelle manifestazioni egiziane e tunisine. Le forze di sicurezza, secondo alcuni testimoni, si sono affrettate a disperdere la protesta con i gas lacrimogeni. 
Una protesta più grande, con migliaia di dimostranti e spargimento di sangue, è andata in scena nell’hinterland della capitale. Altre manifestazioni si sono svolte in tutta la Siria, da Qamishli, a est, fino a Baniyas, sulla costa. Qui uno striscione denunciava Assad e il partito dominante: «No al Baath, no ad Assad, vogliamo liberare il Paese». Razan Zeitouneh, del Syrian Human Rights Information Link, ha detto, basandosi sul racconto di testimoni, che sono state uccise 80 persone, fra Azra, nel Sud, Homs, la terza città  del Paese, e nei sobborghi di Damasco. 
Proprio a Homs, dove questa settimana sono esplose violente proteste, secondo gli attivisti sono arrivati in città  uomini delle forze di sicurezza e poliziotti in borghese in massa, allestendo posti di blocco e impedendo alla gente di scendere in piazza. 
Abu Kamel al-Dimashki, un attivista di Homs raggiunto via Skype, ha detto che sedici tra le persone scese a manifestare mancano all’appello. «Ho provato ad andare sul posto, ma non ci sono riuscito», ha detto. «C’è polizia segreta ovunque a Homs». Un residente ha detto che nel pomeriggio le strade erano deserte e che il silenzio era interrotto ogni quarto d’ora circa dal rumore di spari. 
Uno degli episodi più cruenti è avvenuto ad Azra, a circa 20 miglia da Dera’a, la cittadina povera del Sudovest della Siria che ha contribuito a scatenare la rivolta. Un manifestante, che si è presento come Abu Ahmad, ha detto che circa 3.000 persone stavano marciando verso la piazza principale quando le forze di sicurezza hanno aperto il fuoco contro di loro. Ha detto di aver portato nella moschea tre delle vittime: il più grande aveva vent’anni. «Non c’è più paura. Non c’è più paura», dice Ahmad al telefono. «Vogliamo morire o cacciare Assad. La morte è diventata qualcosa di ordinario». Un video ha mostrato un uomo portare il corpo di un ragazzino ucciso (secondo testimonianze di attivisti, tra i morti ci sarebbero anche una bambina di 4 anni e un bambino di 9). 
Le proteste vicino a Damasco con molta probabilità  stanno creando nervosismo tra i leader del Paese. Entrambe le parti capiscono l’importanza della capitale: proteste di massa lì sarebbero un grande colpo al prestigio del governo. Finora, le forze di sicurezza sono riuscite a bloccare l’arrivo delle marce di proteste partite dei sobborghi, una strategia che sembra sia stata adottata anche in altre città  come Dera’a e Homs. A Douna la polizia avrebbe attaccato direttamente i manifestanti. 
«La gente ha intonato slogano che chiedono la caduta del governo, la fine del partito Baath e libertà », ha dichiarato un protestante dicendo di chiamarsi Abu Kassem. «Io ho avuto paura e sono scappato». 
Nei giorni che hanno preceduto gli scontri attorno a Damasco e a Homs la presenza delle forze di sicurezza era stata aumentata. Residenti di Damasco hanno detto che giovedì si sono visti molti agenti di polizia lasciare una caserma di Zabadani, nell’hinterland, per dirigersi verso la capitale, dove sarebbero affluiti molti soldati delle forze di sicurezza. A Dera’a venerdì sono stati messi in piedi posti di blocco e ci sono notizie di altri dispiegamenti delle forze di sicurezza in centri dell’hinterland di Damasco come Douma, Maidamiah e Dariah. A Homs era difficile raggiungere i cellulari, e anche alcune linee di telefonia fissa erano state tagliate.
Venerdì su Facebook sono state diramate istruzioni ai dimostranti per esortarli a scrivere slogan rivoluzionari sui muri, documentare le proteste con foto e video, manifestare in modo pacifico e scandire slogan. In qualche modo lo scopo è stato raggiunto: in un Paese chiuso ai giornalisti, Internet era pieno di testimonianze dei manifestanti. 
Il governo sostiene che la rivolta è guidata da militanti islamisti, e gli organizzatori ammettono che forze religiose clandestine, come i Fratelli musulmani, hanno preso parte alle dimostrazioni. Le autorità  siriane hanno anche accusato Paesi stranieri di essere dietro alle proteste. Ed è vero che alcune delle manifestazioni più nutrite sono avvenute in città  vicine ai confini: Dera’a, che è vicino alla Giordania, e Homs, un centro industriale nei pressi del Libano settentrionale, una zona dove prevalgono le forze conservatrici.
Finora il governo ha cercato di attenersi a una linea di repressione e compromesso. Giovedì Assad ha firmato dei decreti che revocavano le draconiane leggi d’emergenza in vigore fin dal 1963, abolivano i tribunali di sicurezza e garantivano ai cittadini il diritto di protestare pacificamente, anche se subordinandolo al permesso delle autorità . Le direttive sono già  state trasmesse all’esecutivo martedì, e l’approvazione è solo una formalità : il momento sembra scelto appositamente per smorzare le proteste di venerdì.
Molti attivisti dicono che le riforme proposte finora sono troppo poco e troppo tardi; per citare Haitham Maleh, attivista ed ex magistrato, più volte incarcerato, «La mentalità  del regime deve cambiare».
(©The New York Times/La Repubblica.
Traduzione di Fabio Galimberti)


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