L’illusionismo mediatico nei talk-show televisivi
Eccitati dalle telecamere, alla ricerca continua della rissa verbale che confonde le carte e le idee, i chierici del berlusconismo recitano abitualmente un copione di frasi fatte, di slogan e battute più o meno a effetto, ricorrendo spesso e volentieri – secondo il manuale del Minculpop di regime – all’interruzione dell’avversario politico o dell’interlocutore di turno, per impedirgli di svolgere e completare un ragionamento. È una tecnica di comunicazione basata sulla non-comunicazione, sulla negazione o sul rifiuto di un confronto dialettico. Accade così che la compunta ministra Maria Stella Gelmini, nella scorsa puntata di Ballarò che festeggiava miracolosamente la sua trecentesima trasmissione, racconti con la finta ingenuità di una vestale che da 17 anni il centrodestra vuole fare la riforma epocale della giustizia, ma sono stati Casini e Fini e impedirlo. E come mai, in tutto questo tempo, i berluscones non se ne sono accorti prima e non hanno preso provvedimenti? In realtà quella di cui si parla non è una vera riforma della giustizia, né epocale né stagionale. È soltanto una “riformicchia”, a uso e consumo del presidente del Consiglio, fatta per risolvere i suoi guai personali con la giustizia e semmai punire o mortificare la magistratura, non certo nell’interesse dei cittadini. Una riforma, insomma, che non ha nulla a che fare con la “prescrizione breve” o con il “legittimo impedimento”, tutti artifici escogitati dai sodali che difendono Berlusconi prima nelle aule parlamentari e poi magari in quelle giudiziarie. Va perciò a onore anche degli ex alleati, oltre che dell’opposizione di centrosinistra, aver impedito finora questo scempio del diritto. Altro che “pactum sceleris” fra il presidente della Camera e l’Associazione nazionale magistrati, come vagheggia il capo del governo, lanciando accuse a vanvera senza nomi e senza prove. La rottura tra Fini e il Pdl è avvenuta proprio sulla legalità e qualsiasi “patto” a difesa di questa sarebbe più che lecito sul piano politico e istituzionale. Nella stessa puntata di Ballarò, condotta con equilibrio e compostezza da Giovanni Floris, è accaduto però un fatto increscioso e senza precedenti che va segnalato innanzitutto all’occhiuta direzione generale della Rai, ma anche alla Commissione di Vigilanza e all’Autorità sulle Comunicazioni. Durante un diverbio tra la Gelmini e il vicesegretario del Pd Enrico Letta sui “nuovi tagli” o sulle “minori spese” previste sulla scuola nel Documento di economia e finanza da qui al 2014, i collaboratori o portaborse della ministra seduti alle sue spalle hanno fatto irruzione nel dibattito, interloquendo direttamente con Letta e imprecando contro chi cercava di richiamarli al rispetto delle regole e soprattutto del loro ruolo. Ora, entro certi limiti, si può pure ammettere che in una trasmissione televisiva un ministro o un leader politico venga assistito dai suoi collaboratori, per essere rifornito di dati, documenti o anche suggerimenti. Ma qui, per usare un paragone di carattere sportivo, è come se l’accompagnatore o il massaggiatore di una squadra di calcio entrasse improvvisamente in campo durante la partita, per fare un assist a un proprio giocatore. O peggio ancora, per insultare o aggredire un avversario. In un’azienda come la Rai, tenuta a svolgere un servizio pubblico, la “par condicio” deve valere anche per i portaborse. Tanto più se si tratta di funzionari o dipendenti dello Stato. Altrimenti, si rischia di trasformare il set dei talk-show televisivi in un ring di lotta libera o il confronto politico in una partita di rugby.
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