Marcegaglia e grandi imprese quell’asse con la maggioranza che sta rubando i referendum

Loading

Una vittoria comunque piena di incognite. Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, non ha fatto molta fatica a spiegare la linea. Questa, secondo alcuni dei partecipanti all’incontro a porte chiuse: «Abbiamo chiesto noi lo stop al nucleare. Era l’unico modo per impedire il referendum. I sondaggi davano per scontato il raggiungimento del quorum e con la prevedibile vittoria del sì, sull’emozione del dopo Fukushima, il capitolo nucleare l’avremmo chiuso per sempre. E, ancor più grave, avremmo chiuso per sempre la liberalizzazione dell’acqua. L’unica prevista da questo governo». Una torta di oltre 64 miliardi nell’arco dei prossimi trent’anni, al quale guardano i costruttori ma non solo. Ora la lobby dell’oro blu scommette sull’astensione degli italiani per il poco appeal che potrebbero avere il “decreto Ronchi” sull’acqua e il legittimo impedimento (i due quesiti rimasti in piedi) rispetto al nucleare. Ma nessuno può escludere un blitz in Parlamento. Mentre la lobby dell’atomo aspetta il ripensamento europeo dopo aver fatto scrivere ai consulenti legali dell’Enel “l’emendamento tipo” cancella-referendum. Questa volta la Confindustria ha pensato solo al business. Ha pensato a salvare il salvabile. Spaccandosi al suo interno tra nuclearisti e fotovoltaici, tra energivori (quelli che consumano tanta energia, come i siderurgici) e filo-rinnovabili. E come sempre tra grandi e piccoli, nel senso delle dimensioni aziendali. In ballo 30 miliardi di investimenti per il ritorno all’energia atomica. Il 70% potenzialmente destinati all’indotto italiano. «È tempo di tornare a investire nell’energia nucleare – sosteneva la Marcegaglia nel discorso alla sua prima assemblea generale della Confindustria – , settore dal quale ci hanno escluso più di vent’anni di decisioni emotive e poco meditate. Ciò ha accresciuto la nostra insicurezza e la dipendenza dall’estero, ha sottratto altre risorse alla crescita, ha gonfiato le bollette elettriche di famiglie e imprese». Tutto da rifare, però, anche per gli industriali. Che le bollette – tanto più se verranno confermati i 7 miliardi promessi dal ministro dello Sviluppo economico Romani, a sostegno delle aziende del fotovoltaico – continueranno a pagarle carissime. Il vicepresidente del Comitato energia della Confindustria, Agostino Conte, l’ha definito «un colpo micidiale all’intero apparato industriale italiano, soprattutto alle piccole e medie imprese». È andato all’attacco Conte che rappresenta anche la Federacciai. È andato contro Romani e contro le aziende del fotovoltaico che sono iscritte pure alla Confindustria. Una lotta in famiglia con toni durissimi e accuse pesanti: «Sette miliardi valgono il 33% del prezzo all’ingrosso dell’energia elettrica, e lungi dal rappresentare il necessario supporto allo sviluppo del settore fotovoltaico, sono una inaccettabile rendita che, per giunta, non favorisce lo sviluppo sostenibile della filiera industriale italiana». La Marcegaglia sostiene questa linea. E infatti alcuni newcomer delle imprese del fotovoltaico hanno alzato i tacchi e hanno abbandonato Confindustria, come l’avellinese El. Ital, che produce pannelli solari. Perduto il nucleare – non si sa se per sempre o pro tempore – Confindustria non vuole perdere la privatizzazione dell’acqua. Il referendum vuole abrogare la norma che obbliga gli enti locali a scendere entro il 2015 al 30% della partecipazione nelle utility. Il “capitalismo municipale” fa gola agli industriali privati. Anche perché è protetto.


Related Articles

Piani Ue, l’Italia pagherà  almeno 48 miliardi

Loading

Il fondo salva Stati e l’intervento per Grecia e Portogallo. L’impatto di Madrid

Un quinto di Manhattan è straniero. Grandi capitali sempre più globali

Loading

Comprano russi, cinesi e brasiliani: cambia la geografia delle città . Un appartamento su cinque a New York è venduto a un investitore non americano. L’Italia sarebbe la prossima frontiera del business immobiliare se ci fossero più regole 

La sentenza di Torino contro i riders di Foodora: «non sono lavoratori subordinati»

Loading

Diritti dei lavoratori digitali. Le motivazioni della sentenza dell’11 aprile sui fattorini Foodora «licenziati» a Torino

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment