Fame nel mondo in crescita: guerre e crisi climatica bloccano i progressi
Cesvi. Pubblicato il rapporto «Indice Globale della Fame 2024» che mostra un’inversione di tendenza rispetto ai miglioramenti degli ultimi decenni: «La lotta alla malnutrizione sta rallentando in modo preoccupante»
«Eventi climatici estremi e guerre hanno fatto crescere di oltre il 26% in appena quattro anni il numero di persone che soffrono la fame». Lo dice il rapporto “Indice Globale della Fame 2024” (o Ghi, Global Hunger Index), e non lascia molto spazio a interpretazioni: «I progressi mondiali per la lotta alla malnutrizione stanno rallentando in modo preoccupante».
Appena pubblicato dall’Ong tedesca Welthungerhilfe e dall’irlandese Concern Worldwide, l’edizione italiana è curata dal 2008 dalla Fondazione Cesvi e ad oggi rappresenta un riconosciuto strumento statistico per la raccolta di dati sulla fame nel mondo e sulla malnutrizione nei diversi Paesi. Combina quattro principali indicatori nella popolazione: denutrizione, deperimento infantile, arresto della crescita infantile e mortalità infantile.
L’Indice è stato sviluppato per la prima volta nel 2006 dall’International Food Policy Research Institute e classifica i Paesi lungo una scala di 100 punti, più alto è il valore, peggiore è lo stato nutrizionale di quel Paese. Un valore pari allo 0 rappresenta una totale assenza di fame, poi si suddivide in cinque grandi fasce, con un’incidenza della fame che per ogni Paese può essere: molto bassa, moderata, grave, allarmante ed estremamente allarmante.
Quest’anno il punteggio dell’Indice Globale della Fame medio di tutto il mondo è stato registrato come livello moderato. Ma naturalmente la media tiene in considerazione anche i Paesi che sono vicini all’assenza totale di fame. Infatti in 36 paesi dei 130 esaminati è stato riscontrato un livello di fame grave. In Somalia, Burundi, Ciad, Madagascar, Sud Sudan e Yemen, nonostante i miglioramenti in alcuni di questi, il livello di fame è addirittura registrato come allarmante. Altro dato preoccupante: in quasi il 70% dei 130 Paesi presi in esame, la denutrizione non ha registrato miglioramenti o è addirittura aumentata. L’Africa sub-Sahariana e l’Asia meridionale rimangono le aree regionali con i livelli di fame più alti del mondo, con punteggi Ghi attestati diffusamente a livello grave.
Eppure dei progressi erano stati compiuti nella lotta contro la fame, soprattutto tra il 2000 e il 2016. In quel periodo, il punteggio di Ghi globale è sceso di circa un terzo e su scala mondiale la fame è passata da grave a moderata, dimostrando quanto si possa fare in appena una quindicina d’anni. Da allora però i progressi si sono bloccati e in alcuni casi si sono registrate addirittura delle inversioni di tendenza. «Con l’avvicinarsi del 2030, anno stabilito per il raggiungimento dell’obiettivo “fame zero”, l’Indice Globale della Fame 2024 mostra chiaramente che il mondo è ben lontano da questo traguardo cruciale. Di fatto, se si manterrà il ritmo registrato dal 2016 a oggi, il mondo non raggiungerebbe un livello di fame basso prima del 2160, ovvero tra più di 130 anni», si legge nel rapporto.
Ogni anno l’Indice, oltre a fornire l’aggiornamento dei dati sulla fame nel mondo a livello regionale, nazionale e locale, si concentra anche su un tema specifico «che ben rappresenta la multidimensionalità del problema “fame” e delle sue possibili soluzioni». Negli ultimi anni i focus hanno riguardato i legami tra fame e cambiamento climatico, tra fame e migrazione forzata, le disuguaglianze nell’accesso al cibo e il tema della fame nell’agenda 2030 delle Nazioni Unite.
Il report Ghi di quest’anno si concentra sull’importanza di affrontare la disuguaglianza di genere per raggiungere l’obiettivo «fame zero». Ne emerge che la giustizia di genere risulta essenziale per un futuro equo e sostenibile, ma deve essere costruita su dei punti concreti: la modifica delle norme di genere discriminatorie, l’assegnazione di risorse e opportunità per correggere le disuguaglianze di genere, e la riduzione del divario di genere nella partecipazione delle donne alla politica e nei processi decisionali. Afferma infatti il rapporto: «Per ottenere un cambiamento reale, è cruciale garantire alle donne l’accesso alle risorse e affrontare le disuguaglianze strutturali come le dinamiche di classe e il controllo delle imprese sui sistemi produttivi».
* Fonte/autore: Marco Pasi, il manifesto
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