Stati Uniti. Trump ritorna presidente a furor di popolo

Stati Uniti. Trump ritorna presidente a furor di popolo

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Watch party tragico per i dem a Washington. E Kamala come Hillary non si presenta. Nel tardo pomeriggio italiano Harris ha telefonato a Trump per congratularsi con lui

 

WASHINGTON. La mattina dopo il voto, Washington DC si è svegliata prolungando il silenzio inusuale che aveva avvolto la città già il giorno precedente. Se il concetto di silenzio può avere sfumature, a Washington DC sono state esplorate tutte: la città era insolitamente quieta, prima per il timore di disordini causati da Donald Trump in caso di vittoria – data per quasi certa – di Kamala Harris, poi per la sorpresa della sconfitta della candidata democratica, e infine per metabolizzare che, a differenza del 2016, Trump questa volta ha vinto a furor di popolo. Un fenomeno davvero inusitato, dato che nelle ultime otto elezioni il partito Repubblicano ha conquistato il voto popolare solo una volta, e per via di una guerra epocale.

LA NOTTE DEL VOTO nelle sedi dei watch party (le feste dove i sostenitori di un candidato si riuniscono per seguire insieme il conteggio dei voti stato per stato) organizzati dal partito Democratico, si è vissuta solo la prima delle tre fasi dell’elaborazione del lutto: la negazione. In una notte stranamente calda per i primi di novembre, il pullman blu con la scritta «Harris-Walz» sul quale hanno viaggiato i candidati dem per tutta la campagna elettorale, era stato parcheggiato all’interno del campus della Howard University, sede del principale tra tutti i watch party democratici, ed era preso d’assalto dai sostenitori che si facevano fotografie con il bus sullo sfondo.

Visto che lo spazio all’interno della Howard University era troppo esiguo per accogliere gli attivisti e i media di tutto il mondo accorsi per seguire la notte elettorale dalla parte della prima candidata nera alle presidenza degli Stati Uniti, all’esterno, nel giardino del campus, poco lontano dal pullman elettorale, era stato allestito un palco sul quale sarebbe dovuta salire Harris, per ringraziare della vittoria, salutando così anche chi era rimasto fuori dal magico perimetro.

SU QUEL PALCO Harris non è mai salita, ed è rimasto appannaggio del mega schermo collegato con la Cnn, mentre la base continuava a festeggiare e a sventolare bandierine americane con aria festosa, anche quando era ormai diventato chiaro che per la candidata democratica si stava mettendo male. C’è voluto tutto il tatto dei giornalisti della Cnn che commentavano i risultati dal vivo per obbligare questa base a guardare in faccia la realtà: «A quest’ora, quattro anni fa, l’Arizona veniva assegnata a Biden facendo infuriare Trump – ha detto uno dei commentatori – Quest’anno la storia è molto diversa». Anche il partito ha parlato ai suoi elettori come per ammortizzare la caduta, annunciando che il «cammino verso la vittoria si sta facendo più sottile».

Nel tardo pomeriggio italiano Harris ha telefonato a Trump per congratularsi con lui.

HARRIS, COME HILLARY Clinton nel 2016, non si è presentata per rivolgersi ai suoi, ed è stato il co-presidente della campagna, Cedric Richmond, ad annunciare: «Abbiamo ancora voti da contare. Abbiamo stati che non sono stati ancora chiamati. Continueremo a lottare per garantire che ogni voto venga conteggiato e che ogni voce abbia parlato. Quindi stasera non avrete notizie della vicepresidente, ne avrete domani». Un annuncio, anche questo molto simile a quello fatto al Javit center di New York, sede della notte elettorale di Clinton, da John Podesta. Come dire, andate a casa, qua stiamo solo contando i voti.

L’ufficio della vicepresidente ha chiuso poco dopo, e ai partecipanti della festa alla Howard è stato detto di iniziare a dirigersi verso le uscite. Molti sono rimasti, ancora fiduciosi in una possibile vittoria di Harris, nonostante le evidenze dei numeri. Quando la Cnn ha annunciato che Donald Trump era sulla via per vincere in North Carolina, è arrivatala rassegnazione collettiva, e le televisioni all’interno della festa di Harris, come sul palco allestito fuori, sono state disattivate. Anche se il dj ha messo California Love di 2Pac, nessuno era dell’umore giusto per ballare.

Di fronte al pullman di Harris nessuno più si faceva fotografie mentre le persone tornavano a casa percorrendo a piedi il lungo perimetro di sicurezza vietato al traffico che era stato allestito attorno alla Howard University. Dal festeggiamento l’atmosfera era passata bruscamente al silenzio.

SAMUEL, 58 ANNI, professore di letteratura americana alla University of Chicago, era venuto a Washington per stare con i suoi amici alla notte elettorale di Harris. Facciamo insieme il pezzo di strada fino a dove si riapriva al traffico. «La maggior parte degli elettori di Trump non è motivata dall’odio per le altre persone – dice – quanto dalla paura di un futuro che si sentono totalmente incapaci di controllare. Temono il ritmo rapido del cambiamento (tecnologico, demografico, culturale), apparentemente controllato da nessuno o da persone i cui interessi sono opposti ai loro. Si sentono profondamente insicuri economicamente perché, con il capitalismo potenziato dalla tecnologia, sembra che qualcuno stia sempre cercando di portargli via qualcosa. Anche solo aggrapparsi a ciò che hanno sembra richiedere una vigilanza costante».

E continua: «Ora dico una cosa da ebreo americano che è contro l’occupazione dei territori, contro Netanyahu e tutto quello che rappresenta: la mentalità di molti elettori di Trump potrebbe essere stata simile a quella dei sostenitori di Hamas. Se ti senti senza speranza e bloccato in un sistema che non offre possibilità di cambiamento, alla fine quello che vorrai è distruggere il sistema, invece di lavorarci dentro».

* Fonte/autore: Marina Catucci, il manifesto



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