Naufraga il modello Albania, il giudice blocca le deportazioni di migranti

Naufraga il modello Albania, il giudice blocca le deportazioni di migranti

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Il tribunale di Roma ordina il rientro in Italia di 12 migranti. Il governo farà ricorso. Le udienze con i maxischermi in un clima surreale. Sentenze basate sulla Corte di giustizia europea

Roma. C’è un giudice a Roma. Si trova al secondo piano di viale Giulio Cesare 54/B, alla XVIII sezione civile del tribunale ordinario, quella per i diritti della persona e l’immigrazione. Qui ieri mattina non sono stati convalidati i trattenimenti dei dodici migranti provenienti da Bangladesh ed Egitto, soccorsi qualche giorno fa nel Mediterraneo dalla nave Libra della marina militare, sbarcati a Shengin e infine portati al centro di Gjader, in Albania.

Si tratta dei primi ospiti del campo costruito dal governo Meloni in accordo con il suo omologo di Tirana, Edi Rama.

Il soggiorno però è destinato a durare poco: già stamattina, per effetto di quanto deciso ieri dai giudici romani, i dodici faranno infatti ritorno in Italia.

Le sentenze, tutte uguali, sono chiarissime: perché un paese possa essere considerato sicuro, deve esserlo ovunque e per chiunque. E i paesi di provenienza dei dodici migranti (Egitto e Bangladesh) non lo sono. Il principio deriva da una sentenza emessa dalla Corte di giustizia europea lo scorso 4 ottobre.

COSÌ SCRIVE in un comunicato la presidente della XVIII sezione Luciana Sangiovanni: «Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come paesi sicuri gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia».

PRIMA di questa decisione, tra le stanze del tribunale civile di Roma, è andato in scena il surreale spettacolo delle udienze in collegamento con Gjader. Tra avvocati perplessi, avvocati che non sapevano bene cosa ci facessero lì (molti sono stati chiamati da liste ignote, che non erano cioè quelle del gratuito patrocinio né quelle dei legali d’ufficio) e avvocati sostituti accorsi all’ultimo momento, non si può certo dire che sia stata una giornata gloriosa per il diritto costituzionale alla difesa.

Nessuno, infatti, ha avuto la possibilità di incontrare il proprio assistito prima dell’udienza, né di espletare le varie procedure di riconoscimento.

Le aule dei giudici erano state attrezzate con dei televisori da svariate decine di pollici collegati con l’Albania. Negli schermi, con aria sperduta e un poliziotto di fianco, uno per uno sono apparsi i trattenuti in Albania, mentre dall’altra parte gli avvocati e gli interpreti cercavano di argomentare come, quanto e perché fosse ingiusto il provvedimento emesso dal questore di Roma che aveva spedito i dodici egiziani e bengalesi a Gjader.

Le sentenze hanno poi spazzato via dubbi e considerazioni, anche se resta aperta un’altra questione. Sempre ieri mattina è stato notificata ai migranti la bocciatura delle loro richieste d’asilo da parte delle commissioni territoriali.

In pratica significa che adesso ci sono 14 giorni per appellarsi (e se ne riparlerà sempre alla sezione immigrazione), ma il dettaglio che vale mezza partita è che le decisioni sono state assunte dalle commissioni a maggioranza, non in maniera unanime. Il che lascia aperto più di uno spiraglio per i futuri ricorsi.

VA DA SÉ che quanto stabilito ieri dal tribunale di Roma apre un problema gigantesco per il governo, che vede naufragare il suo progetto più importante in materia di immigrazione.

Le contromisure, però, oltre all’invettiva non sono poi granché. Da Ventimiglia, il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha difeso il modello Albania («Diventerà diritto europeo») e ha annunciato che verrà presentato ricorso «fino ai massimi gradi della giurisdizione», ma il percorso già appare accidentato.

A livello di procedura, infatti, ci sono sessanta giorni per rivolgersi alla Cassazione, con l’udienza che verosimilmente verrà fissata nel giro di mesi. Nel frattempo, visto che la competenza sul campo albanese resta in capo al tribunale di Roma, è assai probabile che tutti i futuri trasferimenti dall’altra parte dell’Adriatico verranno annullati.

C’è un precedente, poi, che per il governo non è affatto incoraggiante: già quando un anno fa la giudice di Catania Iolanda Apostolico negò il trattenimento di quattro tunisini sbarcati a Lampedusa, il governo decise di rivolgersi alla Cassazione, che rimandò tutto alla Corte di giustizia europea.

La vicenda è finita tra silenzi e imbarazzi lo scorso luglio con il governo che ha rinunciato ai suoi ricorsi, facendo di fatto cadere anche la questione pregiudiziale presentata in sede europea.

IL FATTO è che, per quella sua decisione, Apostolico fu oggetto di un vero e proprio massacro mediatico. I giudici di Roma sono avvisati.

* Fonte/autore: Mario Di Vito, il manifesto



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