Dopo Sinwar la guerra israeliana di massacro prosegue
Per il governo israeliano, come del resto per Hamas, il diritto internazionale e quello umanitario sono parole vuote: non dimentichiamo che Sinwar per la Corte penale internazionale dell’Aja era un criminale di guerra esattamente come è, e resta, il premier israeliano in carica
Anche dopo l’uccisione di Sinwar, capo di Hamas, Netayahu non riesce a pensare alla vita degli ostaggi israeliani (meno di un centinaio, la metà probabilmente già morti) e trattare una tregua con Hamas. La guerra di Gaza come quella del Libano – in attesa della rappresaglia contro Teheran – continua.
Per il governo israeliano, come del resto per Hamas, il diritto internazionale e quello umanitario sono parole vuote: non dimentichiamo che Sinwar per la Corte penale internazionale dell’Aja era un criminale di guerra esattamente come è, e resta, il premier israeliano in carica. Come hanno dimostrato le azioni di Gaza e del Libano del Sud, organismi come le Nazioni Unite per Netanyahu sono solo un impedimento alla guerra di massacri, di annientamento e di eliminazione dei nemici, non importa se al prezzo di decine di migliaia di morti di civili. Se ne è quasi accorta, a parole – sempre ambigue – perfino la presidente del consiglio Meloni oggi in Libano ma che – a meno di sorprese – eviterà di andare alla sede di Unifil. Perché nonostante il governo italiano continui a chiamare Paese “amico” Israele, nessuno si fida di Benjamin Netanyahu. Come diceva Churchill gli stati non hanno amici ma solo interessi.
L’interesse del governo israeliano e del suo capo oggi, come dichiara, è proseguire la guerra. Per altre settimane, forse per mesi, probabilmente fino all’insediamento del prossimo presidente americano. Tanto le conseguenze per Israele sono minime: gli europei sono divisi persino sulle più blande sanzioni nei confronti dello Stato ebraico ma soprattutto gli Stati uniti non fermeranno gli aiuti militari a Tel Aviv. Al massimo le autorità degli Stati uniti fanno trapelare qualche debole protesta verso Israele ma nei fatti nulla di concreto.
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Certo l’uccisione di Sinwar, per altro trovato senza gli ostaggi, è un successo ma a Netanyahu questo non basta: per lui più il conflitto si infiamma e più vede i suoi obiettivi a portata di mano. Vuole restare al potere e nonostante il disastro del massacro del 7 ottobre ha buone possibilità di riuscita, oltre tutto oggi può esibire lo scalpo di Sinwar, insieme a quello di Haniyeh e di Nasrallah, il leader di Hezbollah. In più il governo israeliano ritiene di non avere finito il lavoro a Gaza: fare strage della popolazione, ridurla in spazi sempre più stretti e invivibili, occupare tutta la zona Nord della Striscia per realizzare una fascia di sicurezza spopolata dai palestinesi e sotto il loro controllo.
Quale sarà il futuro di Gaza dopo la fine di Sinwar, un uomo crudele che ha portato il suo popolo alla rovina? Nessuno oggi è in grado di dire come saranno governati gli oltre due milioni abitanti della Striscia – e viene da pensare all’intera condizione dei palestinesi, perché anche in Cisgiordania il “lavoro” di Netanyahu non è finito. Anzi nessuno vuole pensarci ed è proprio per questo che un cessate il fuoco a tempo indeterminato a Gaza appare quasi impossibile. Del resto Netanyahu ha respinto in tutti modi le proposte di Biden e della sua diplomazia per arrivare a una tregua: se è stato in grado di umiliare il suo maggiore alleato figuriamoci gli altri, oppure se si fa problemi etici o umanitari.
Più il tempo passa e più morti e distruzioni ci saranno e più diventerà improbabile la ricostruzione di Gaza e la sua stessa esistenza. Questa è l’agghiacciante prospettiva del dopo Sinwar. Forse non ci sarà un dopo.
* Fonte/autore: Alberto Negri, il manifesto
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