Dopo il colloquio con Biden, l’attacco israeliano contro l’Iran è deciso
Escalation per l’inferno. L’aviazione israeliana è pronta colpire ogni punto dell’Iran. Nel mirino le basi militari, ma non sono esclusi i siti atomici
GERUSALEMME. Benyamin Netanyahu ha deciso come e quando colpire l’Iran in risposta all’attacco missilistico del primo ottobre scattato per vendicare l’uccisione da parte di Israele del leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, e del capo politico di Hamas, Ismail Haniyeh. Ieri ne ha parlato per 50 minuti al telefono con Joe Biden e la sua vice Kamala Harris «in una atmosfera positiva» e oggi convocherà il gabinetto di sicurezza per l’approvazione dell’azione militare che rischia di portare alla guerra totale con Teheran e di gettare nell’abisso l’intero Medio oriente. Ieri sera si sapeva poco o nulla del colloquio telefonico tra il premier israeliano e il presidente americano che non si parlavano da agosto. La Casa Bianca ha insistito, secondo indiscrezioni, per un attacco relativamente limitato – non sui siti atomici e petroliferi iraniani – per evitare l’escalation totale. La risposta di Netanyahu non è nota, ma si deve tener conto che nell’ultimo anno il leader israeliano nella maggior parte dei casi non ha tenuto conto delle posizioni di Washington riguardo all’offensiva avviata dello Stato ebraico nella Striscia di Gaza.
Archiviato il colloquio telefonico, la rappresaglia israeliana nei confronti di Teheran appare sempre più imminente. L’attacco, secondo il Times of Israel, prenderà di mira le strutture militari iraniane sparse in tutto il paese come il Centro di ricerche spaziali, il Centro di comando e controllo delle Guardie rivoluzionarie, la base di lancio di Sharoud e quella di Arak. Fonti israeliane dicono che tra i principali obiettivi che l’aviazione israeliana cercherà di colpire – Israele potrebbe usare anche missili a lungo raggio – ci sarebbero in particolare i siti per la produzione di razzi e missili di Shiraz, Isfahan e uno segreto a nord-est di Teheran. Altri potenziali obiettivi sono le più importanti basi dell’esercito e della Marina e le sedi dei servizi d’intelligence. Ed è probabile che Israele provi a bombardare nella regione le milizie sciite alleate di Teheran. Chiare le parole del ministro della Difesa Yoav Gallant: «Il nostro attacco (all’Iran) sarà letale, preciso e soprattutto sorprendente, non capiranno cosa è successo».
Non bastano però a quei ministri e deputati della maggioranza e dell’opposizione che chiedono a Netanyahu di non tenere conto delle posizioni degli Usa e di altri paesi occidentali contrarie a ulteriori escalation nella regione e di colpire invece, senza esitazioni, anche le centrali atomiche iraniane. Unendosi all’ex premier Naftali Bennett e all’ex ministro della Difesa Avigdor Lieberman, il deputato Moshe Saada, del partito di maggioranza relativa Likud, ha esortato ieri il premier a distruggere le centrali nucleari iraniane. «Il primo ministro Netanyahu deve fare ciò che è nell’interesse dello Stato di Israele» ha detto a Radio 103FM «ora ha un’opportunità storica unica di essere ricordato nei libri di storia come un difensore di Israele e dell’Occidente, e tutto ciò che deve fare è attaccare i siti nucleari». A spingere per un attacco devastante sono anche gli esuli iraniani legati al regime dell’ultimo Scià di Persia Reza Pahlavi abbattuto dalla Rivoluzione khomeinista nel 1979. Una loro delegazione guidata dall’avvocata americana, Katie Amiri Younisi, nei giorni scorsi ha visitato la Knesset per chiedere una potente offensiva militare volta a rovesciare la Repubblica islamica.
Washington sta con Israele, ma insiste per evitare la guerra regionale che preoccupa parecchio gli Stati arabi alleati degli Usa. Una guerra, con la partecipazione degli Usa in difesa di Israele, finirebbe per esporli a possibili ritorsioni iraniane contro le basi americane che ospitano. Molto preoccupate sono le petromonarchie che hanno avviato contatti con Teheran per affermare, almeno a parole, la loro neutralità. L’Iran ha detto a re e principi del Golfo che sarebbe «inaccettabile» se permettessero che il loro spazio aereo venisse utilizzato per l’attacco israeliano. L’avvertimento è arrivato mentre il ministro degli Esteri iraniano Abbas Araghchi dava il via a una visita in Arabia Saudita e in altre capitali del Golfo.
I comandi israeliani intanto continuano a diramare comunicati sui «successi» militari in Libano del sud e a fare un quadro negativo di Hezbollah descritto senza munizioni e sul punto di crollare. Da qui, aggiungono, la decisione del movimento sciita e dell’Iran di sostenere un accordo di tregua. «Non c’è forza militare nella regione che possa resistere al potere dell’Esercito israeliano che attacca. Chiunque non abbia visto la potenza di fuoco di una divisione israeliana in manovra non ha visto la potenza militare. Tutto questo è successo a Gaza l’anno scorso, tutto questo sta accadendo adesso in Libano», scriveva ieri il noto giornalista Avi Ashkenazi. Di cessate il fuoco con Hezbollah, aggiungeva Ashkenazi, non si parlerà prima della fine della festività ebraica del Sukkot, quindi, dopo il 23 ottobre perché «l’esercito ha ancora molto da fare». Ieri i bollettini militari riferivano di 500 obiettivi di Hezbollah distrutti. Le notizie però danno anche indicazioni diverse. Negli ultimi due giorni Hezbollah ha lanciato massicciamente i suoi razzi contro Haifa, Kiryat Yam, Kiryat Motzkin e nella Galilea occidentale. Uno di questi ha colpito Kiryat Shmona uccidendo due persone, un uomo e una donna. Invece a Hedera un arabo israeliano ha accoltellato e ferito sei abitanti.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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