Tfr sempre più gestito dai privati e niente pensione di garanzia

Tfr sempre più gestito dai privati e niente pensione di garanzia

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Gli assegni del futuro: il governo Meloni con Durigon e Calderone punta tutto sulla previdenza complementare

 

Ormai è un dato conclamato: fra pochi anni i milioni di lavoratori che hanno subito la precarietà e riusciranno ad andare in pensione percepiranno assegni da fame. Il problema – denunciato da un buon decennio da il manifesto – è più sociale che economico. Contrariamente alla vulgata comune, i conti dell’Inps non sono in pericolo, anzi. E il picco della spesa previdenziale si avvicina – è stimato nel 2035 o 2040 – senza che possa creare problemi mentre, passato quello, inizierà la discesa della spesa, figlia dell’adozione del modello contributivo e della draconiana riforma Fornero del 2012. Davanti a questo quadro, due sono le ricette possibili: la pensione di garanzia contributiva o la privatizzazione del sistema. La destra di governo ha già scelto: proponendo di appaltare tutto ai fondi previdenziali complementari.

LA SVOLTA ERA STATA ANTICIPATA ad agosto dal sottosegretario al Lavoro Claudio Durigon – l’inventore leghista del flop Quota 100 (102 e 103) costato 46 miliardi – : rottamato l’obiettivo demagogico Salviniano di Quota 41 adeguandosi al mantra di Giorgetti, disse che «se non ci sono soldi per le pensioni allora serve rafforzare il secondo pilastro del sistema, la previdenza complementare», chiamando a raccolta tutti i fondi privati.

Qualche settimana fa la ministra Marina Calderone ha presentato una proposta per il trasferimento automatico del 25 per cento del Tfr (il trattamento di fine rapporto) alla previdenza integrativa e per l’ennesima finestra di silenzio-assenso.

Secondo LaVoce.info per i giovani che devono ancora entrare nel mercato del lavoro la decurtazione del 25 per cento del Tfr si tradurrebbe in una pensione integrativa pari al 5 per cento dell’importo della pensione pubblica, da 22 a 122 euro al mese, secondo la Cgil. Una cifra risibile, dunque, perdendo i benefici del Tfr a fine carriera.

AL CONTRARIO LA PENSIONE contributiva di garanzia avrebbe molti pregi e pochi costi. Un «pavimento» di 990 euro lordi al mese a 65 anni con 40 anni di attività, intesi come anni di lavoro compresi quelli con buchi contributivi a causa della precarietà. Col vantaggio di costare solo al momento del pensionamento. Una misura che rispetta le caratteristiche del contributivo – cresce quanto più si è attivi – e ha il vantaggio di spostare la spesa in avanti, in gran parte dopo la gobba pensionistica prevista nel 2040. Ma la destra ha scelto. E ai precari resteranno pensioni da fame.

* Fonte/autore: Massimo Franchi, il manifesto



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