I professionisti del trucco
Ora, dunque, lo stop alla proliferazione delle centrali atomiche non è soltanto un dietrofront, una retromarcia, una ritirata strategica per non urtare la corrente d’opinione alimentata dall’incubo di Fukushima ed evitare così il referendum in calendario a metà giugno. È anche l’ammissione esplicita di una sconfitta annunciata. Una fuga dalle responsabilità . Una dichiarazione di impotenza programmatica. Ma è soprattutto la più smaccata e plateale rinuncia a governare un processo di crescita economica e sociale, in una prospettiva responsabile di sostenibilità : cioè di rispetto dell’ambiente, della sicurezza e della salute collettiva. Tanto il nucleare era diventato il perno di una “politica generale” per la maggioranza parlamentare di centrodestra, quanto appare adesso l’opzione scellerata e impraticabile di un’effettiva minoranza elettorale. Forse non c’è metro di paragone più concreto e preciso per misurare la distanza fra Paese (il) legale e Paese reale nell’Italia di oggi, colpita dallo tsunami politico e morale di un governo autoritario privo di autorevolezza che pretende di imporre la forza del dispotismo su quella della ragione. Con tutta la solidarietà umana per l’ammirevole popolo giapponese, possiamo solo consolarci con la considerazione che – come all’epoca di Chernobyl – anche questa catastrofe è servita almeno a fermare la corsa verso il rischio atomico. E pensare che, subito dopo il disastro di Fukushima, il nostro governo aveva proclamato – per bocca del sedicente ministro dell’Ambiente – che “la linea italiana rispetto al programma chiaramente non cambia”. Poi, nel Parlamento e nella società civile, era scattata la cosiddetta “pausa di riflessione”. Fino alla moratoria suggerita dal ripensamento del ministro Tremonti, a cui segue ora questa fermata obbligatoria per fugare gli spettri del nucleare e le paure del referendum in una sorta di esorcismo nazionale. Con l’abrogazione delle norme sulle nuove centrali, non si abroga però il diritto dei cittadini di schierarsi contro questa scelta e contro questa politica. Ne fanno fede in pratica tutti i sondaggi d’opinione, registrando e documentando una consapevolezza diffusa, largamente maggioritaria, prodotta da una radicata ostilità e ulteriormente accresciuta nelle ultime settimane da un’inversione di tendenza perfino nell’elettorato di centrodestra. Questo non può essere perciò un trucco, un sotterfugio, un escamotage per eludere o aggirare la volontà popolare. Il capitolo si deve chiudere definitivamente qui. Né tantomeno sarebbe lecito strumentalizzare lo stop sul nucleare per boicottare i quesiti referendari sulla privatizzazione dell’acqua e sul legittimo impedimento: altrimenti, avrebbe ragione Antonio Di Pietro a parlare di “truffa” più o meno organizzata. Per una coincidenza che non è certamente occasionale, la resa del governo arriva proprio all’indomani del richiamo ufficiale dell’Unione europea all’Italia sulle fonti rinnovabili. Contro le alchimie del decreto che porta la firma del ministro Romani, la Commissione di Bruxelles sollecita un meccanismo di incentivi più chiaro e più certo, in modo da non compromettere gli investimenti e non danneggiare il programma comune. Ed è questa la strada maestra da percorrere con determinazione, all’insegna del solare e dell’eolico, per sostenere lo sviluppo economico nel settore e nell’intero sistema produttivo. Sappiamo bene che le rinnovabili, da sole, non risolvono la questione energetica. E sappiamo anche che, oltre al risparmio e all’efficienza, occorre utilizzare un mix di fonti in rapporto al trend di mercato e all’evoluzione tecnologica. Ma sappiamo pure che, allo stato attuale, il nucleare costa ancora troppo e non è sicuro; che il problema dello smaltimento delle scorie non è affatto risolto; e che la sicurezza dei cittadini, della loro salute e della stessa sopravvivenza, viene prima di qualsiasi altro interesse. Referendum o meno, l’ordine delle priorità non cambia.
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