Israele bombarda e prepara l’invasione da terra: «I nostri stivali in Libano»
51 morti nei raid che anche ieri hanno colpito il Paese. Due brigate di riservisti al confine. Hezbollah conferma la morte di Kobeissi e lancia un missile (intercettato) sul palazzo del Mossad
BEIRUT. 51 morti e 220 feriti. Sono i dati del giorno forniti nel pomeriggio da Firas Abiad, ministro della Salute libanese, dopo tre giorni di bombardamenti ininterrotti da parte dell’esercito israeliano. Bombe su Maaysara, regione sciita di Kesruan-Ftuh, su Joun, nella regione dello Chouf.
A Maaysara l’obiettivo sarebbe stato lo sheikh sciita Mohammad Amro, originario del villaggio e responsabile di Hezbollah del settore Monte-Libano e del nord. Il bilancio è di 4 morti e 18 feriti trasportati all’ospedale di Byblos. Anche a Joun i morti sono 4, mentre i feriti 7. A Bourj el Chemali, Tiro, un missile ha colpito un’ambulanza causando 7 feriti, tra cui gli stessi soccorritori.
COME GIÀ ACCADUTO nei giorni precedenti, si cominciano a colpire zone fino a questo momento non interessate dal conflitto. Da una parte c’è la ragione strettamente militare dell’esercito israeliano, dall’altra invece c’è la volontà di rendere evidente che nessun luogo dove sia presente Hezbollah è sicuro. In questa ottica vanno letti anche gli attacchi a distanza del 17 e 18 settembre, quando prima dei cercapersone e poi dei walkie talkie in dotazione a membri ed affiliati di Hezbollah, non necessariamente dell’ala militare, sono stati fatti esplodere in pieno giorno, causando un centinaio di morti e oltre 3000 feriti.
Una guerra a Hezbollah e non al Libano: questa è la retorica che Netanyahu porta avanti, colpendo però allo stesso tempo i libanesi civili, come negli attacchi di questi giorni, che hanno causato ormai quasi 600 morti, oltre 5mila feriti e 90mila sfollati (dati dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni).
HEZBOLLAH – che ieri ha annunciato la morte di Ibrahim Kobeissi nel bombardamento a Beirut sud di martedì – tra i vari attacchi rivendicati oggi nel nord di Israele ha colpito il quartier generale del comando del nord, nella base di Dado, nella regione di Safed. Per la prima volta poi ha lanciato ieri dei missili in direzione Tel Aviv, più precisamente sul quartier generale del Mossad, l’intelligence israeliana. I missili sono stati intercettati, ma si tratta di un atto anche dal punto di vista simbolico importante.
L’esercito israeliano ha richiamato due brigate di riservisti per «missioni operative» nel nord. C’è un enorme interrogativo su un’invasione via terra delle truppe israeliane. «I vostri stivali militari entreranno nel territorio nemico, entreranno nei villaggi di Hezbollah. Attacchiamo tutto il giorno sia per preparare una vostra possibile entrata, sia per continuare a colpire Hezbollah» ha dichiarato il generale Herzi Halevi a dei soldati di un’unità di blindati, secondo un comunicato ufficiale dell’esercito.
SI MOLTIPLICANO GLI SFORZI diplomatici all’assemblea generale delle nazioni unite di paesi come la Francia e la Gran Bretagna. Il presidente francese Macron ha annunciato che il nuovo ministro degli affari esteri, Jean-Noël Barrot, si recherà in Libano questo finesettimana. Biden ha rilasciato una dichiarazione alla Abc in cui non esclude una guerra totale, «è possibile – ha detto -, ma credo ci sia un’opportunità di arrivare a un accordo che cambi l’intera regione, ne stiamo discutendo».
L’amministrazione Biden pare impegnata su una nuova iniziativa che potrebbe portare a un cessate il fuoco temporaneo in Libano e alla ripresa dei negoziati sugli ostaggi e il cessate il fuoco a Gaza. Gli Usa sarebbero da giorni sull’iniziativa, ha riportato il sito di Walla, media israeliano.
NESSUNA NOTIZIA CERTA al momento. Quello che è certo invece è che Israele continua a devastare il sud del Libano: se ci dovesse essere un’invasione di terra potrebbe somigliare a quella di Gaza, avvenuta una volta spianata la strada con bombardamenti a tappeto. L’ultima volta che dei soldati israeliani hanno messo piede in Libano è stato infatti nel 2006, durante la guerra del Tammus, quando hanno incontrato molte difficoltà a fronteggiare Hezbollah nel suo territorio. Consci di tale esperienza, se un’invasione ci dovesse essere, questa dei bombardamenti a tappeto sarebbe allora una fase preparatoria.
IL PREMIER USCENTE LIBANESE Miqati è a New York per trovare una soluzione. Con lui il ministro degli Esteri Bou Habib, che ha incontrato il presidente francese Macron, quello palestinese Abbas, il premier iracheno Al-Sudani, il segretario di stato americano Blinken e l’inviato americano Hochstein.
Si teme che l’aeroporto venga chiuso a breve, unico ponte tra il Libano e l’estero, da quando i porti di Beirut e Tripoli non sono più attivi per i civili e vista la situazione in Siria, da oltre dieci anni in guerra e non ancora sicura. Il Libano diventerebbe una trappola in caso di chiusura o di bombardamento dell’aeroporto. Moltissime le compagnie che hanno cancellato i voli in entrata e in uscita.
Le scuole libanesi rimarranno chiuse per tutta la settimana e ci si prepara a cominciare le lezioni da remoto. Molti plessi sono diventati dei rifugi per i tanti sfollati arrivati in fretta e furia lunedì e martedì.
Le varie agenzie dell’Onu, tra cui Ocha che si occupa dei palestinesi in Libano, provano a far fronte a questa crisi nella crisi. La croce rossa libanese, le municipalità, la protezione civile, ong locali e internazionali, tutti in uno sforzo collettivo per far fronte a questa nuova, ennesima emergenza.
* Fonte/autore: Pasquale Porciello, il manifesto
ph דן ברונפלד / IDF Spokesperson’s Unit
Related Articles
Caso Nemtsov, il presunto killer ritratta “Costretto a confessare sotto tortura”
Ci sarebbero tre persone da eliminare dopo Nemtsov: Mikhail Khodorkovskij, Aleksej Venediktov, Ksenja Sobcjak
Saranno i migranti a salvare l’Europa
Prima della crisi finanziaria il Vecchio Continente si avviava a diventare la regione più aperta in termini di flussi migratori
Stati uniti. La realtà parallela di Trump: «Biden, una minaccia»
L’ex presidente a un comizio in Iowa definisce «ostaggi» i rivoltosi in prigione per l’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021. Trump resta comunque il favorito per la nomination repubblicana