Il mestiere di Vittorio

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Difficile da definire il mestiere di Vittorio Arrigoni: giornalista-volontario-attivista, testimone sul campo, blogger. Mediattivista. Collaborava col Manifesto per riferire  ‘in presa diretta’ quello che succedeva  nella Striscia. Qualcosa di inafferrabile e di ingestibile. Proprio perché il testimone sta lì sempre, a differenza del reporter. Specie uno col suo carisma.      

Pino Cabras su Megachip scrive: “Il lavoro di Vittorio Arrigoni va nella dimensione micro: è azione concreta e locale, nella Gaza assediata”. Ma è anche “azione globale, racconto, narrazione, rivendicazione della verità ”.

Arrigoni era dunque un testimone molto scomodo. Lui era una sorta di simbolo.

“Chi lo ha rapito sapeva e pensava di poter premere sull’autorità  di Hamas in modo più efficace. A meno che l’obiettivo non fosse proprio l’uccisione, come per l’attore israeliano Juliano Mer Khamis. Ha pagato il suo impegno di lunga data ”, ha detto Filippo Landi, corrispondente Rai a Gerusalemme.

Difficile in effetti non collegare questa morte (ancora tutta da indagare ma per ora attribuita a gruppi estremisti Salafiti) a quella dell’attore/attivista israeliano Juliano Mer Khamis. Ucciso davanti al suo Freedom Theatre nel campo profughi di Jenin il 4 aprile scorso.

“Come spesso succede in Palestina, quando sembra che il peggio sia già  accaduto il limite dell’orrore si sposta ulteriormente in avanti”, dicono gli amici cooperanti di Vittorio. A dar fastidio in questo conflitto israelo-palestinese sono sempre più spesso, a quanto pare, i testimoni attivi, quelli che vedono, sanno e non stanno zitti.

“Stiamo ragionando per capire come collocare questi eventi: le bombe su Gaza, la famiglia di coloni trucidati a Itamar, l’uccisione di Juliano Mer Kahmis, Vittorio Arrigoni. Come metterli in relazione? Non abbiamo ancora gli strumenti per capire. Ma prendiamo atto che accadono in un momento particolare: la comunità  internazionale è pronta a riconoscere lo Stato palestinese”, ha fatto notare Daniele Magrizos. Amico di Vittorio e cooperante a Gaza.

E’ presto per individuare un mandante nell’omicidio di Arrigoni. Sappiamo che la storia dei gruppi integralisti, fondamentlisti e terroristi è anche una storia “torbida”, fatta di connivenze, interessi incoffessabili e intelligence.

Sappiamo anche però che Vittorio non è morto invano: era un uomo che  conosceva la gente per nome. E raccontava le strorie e le cose come stanno. Storie vere di vita quotidiana. Qualcuno ieri si interrogava sulle inchieste condotte da Arrigoni: che pista stava seguendo? A cosa lavorava Vittorio? Quale tema scottante aveva toccato per dover subire questa morte? In molti ritengono che non ci fossero ‘piste’ particolari. Era la pista della vita di ogni giorno . Piccole storie di lenta morte quotidiana.

“Dall’inizio dell’assedio a oggi più di 300 palestinesi sono morti al lavoro sotto terra per permettere ad una popolazione di quasi 2 milioni di persone di sfamarsi – scriveva sul suo blog, guerrilla radio -E’ una guerra invisibile per la sopravvivenza. I nomi degli ultimi martiri sono: Abdel Halim e suo fratello Samir Abd al-Rahman Alhqra, 22 anni e 38 anni, Haitham Mostafa Mansour, 20 anni, e Abdel-Rahman Muhaisin 28 anni”. Ecco, ora aggiungeremo anche il suo.

“Nel mio sangue ci sono delle particelle che mi spingono a combattere per la libertà  e i diritti umani”, diceva. Era infatti nipote di partigiani.
Questo testimone (eroe) di Gaza stava lì per vedere e per riferire, rischiando la vita, quello che il mondo intero fa finta di non vedere e che per precise ragioni non vuole riferire. Ecco perché la sua testimonianza serve. E resta. A dispetto della morte.


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