“Restate qui, siete dei nostri” così Pantelleria ha adottato Kamil e suoi cinque figli

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PANTELLERIA – L’isola di Pantelleria ha sei nuovi abitanti: è la famiglia Fuamba. Sono Kamil e i suoi cinque figli che, all’alba di mercoledì, avevano perso la madre in un naufragio. Vengono dal Congo. Dopo sei giorni sono ancora tutti lì davanti al mare di Cala Arenella, immobili sullo strapiombo. L’uomo e i bambini guardano giù, cercano qualcosa fra la schiuma delle onde. Qui sotto è morta una donna nera ed è su questa isola che loro vogliono vivere per sempre. Cala Arenella sei giorni dopo la tempesta, Cala Arenella sei anni dopo una fuga che sembrava infinita. Il Congo, il Camerun, la Nigeria, il Niger, la Libia. Poi il barcone fuori rotta, il vento di maestrale, la chiglia che si spezza quando tutti si sentono già  in salvo. All’improvviso Leonì scompare in un metro d’acqua e poi riaffiora galleggiando. A terra c’è già  Kamil e a terra ci sono già  i loro cinque figli che vedono tirar su la mamma, ripescata come un tonno. «In quel momento ho pensato che non ce ne saremmo mai potuti andare via da qui, che non l’avremmo mai lasciata sola Leonì, io e miei bambini le avremmo fatto compagnia per sempre», ricorda Kamil che in quest’altra isola frontiera del Mediterraneo ha perso la moglie ma ha trovato una patria. Lui e i suoi bimbi sono stati «adottati» da Pantelleria, gli hanno appena dato una casa e anche un lavoro. A Cala Arenella nel primo pomeriggio c’è Ernest, il più piccolo che ha cinque anni, ed è aggrappato alle spalle del padre. E c’è Aisha, la più grande che ne ha quasi sedici, che lo tiene per mano. Poi ci sono gli altri due maschietti che stanno singhiozzando, Viani e Raiss. E l’altra femminuccia, Keren, che in silenzio si asciuga le lacrime. È la prima volta che vengono tutti insieme a Cala Arenella dopo quell’alba. «Domani la seppelliamo e poi ricominciamo una nuova esistenza grazie alla gente di Pantelleria», racconta quest’uomo grande e grosso che è partito dalla sua città  all’inizio del 2005 per finire su uno scoglio dopo la burrasca. Ha quarant’anni e abitava a Pointe-Noire, una città  che si affaccia sull’Atlantico. Per salvare la sua famiglia da guerra e fame ha attraversato metà  Africa. Ha lavorato come meccanico a Yaoundé, come insegnante di francese a Lagos, come imbianchino a Tripoli. E come imbianchino lavorerà  anche a Pantelleria. «Dopo il naufragio ho incontrato Kamil e mi ha detto che avrebbe voluto stare qui vicino alla moglie morta, ho deciso che la nostra comunità  doveva offrire ospitalità  a questa famiglia, mi sono subito dato da fare con il ministero degli Interni per fargli riconoscere lo status di rifugiato», dice il sindaco Alberto Di Marzo. Fra qualche giorno Kamil volerà  a Trapani per il «riconoscimento ufficiale» in prefettura ma intanto oggi lui e i suoi figli – tutti cattolici – saluteranno per l’ultima volta Leonì. Funerali alle 9 nella grande tenda dove si celebra messa in attesa della costruzione di una nuova chiesa di Pantelleria, da Mazara del Vallo arriverà  anche il vescovo Domenico Mogavero, tutta l’isola sarà  intorno alla famiglia Fuamba. «In queste ultime ore c’è stata una grande gara di solidarietà  verso Kamil e i suoi figli», spiega Salvatore Gabriele, il giornalista dell’isola e direttore del sito Pantelleria Internet, il primo a raccogliere all’alba del 13 aprile le testimonianze dei disperati di Cala Arenella. Centonovanta vivi, due donne morte – l’altra è Cirie, una senegalese di 28 anni – e ufficialmente uno scomparso. Congolesi, nigeriani, senegalesi, ghanesi, liberiani e anche pachistani. Erano partiti l’8 aprile da una rada vicino a Tripoli. «Quello che ci faceva salire sul barcone era un pezzo grosso dello Stato libico, ci aveva detto che saremmo partiti in cinquanta ma poi il barcone era strapieno», ricorda Kamil. Due giorni di navigazione tranquilla, poi il motore in avaria, poi ancora le onde sempre più alte. Dovevano approdare a Lampedusa e sono finiti a Pantelleria. Kamil Fuamba si è ritrovato sugli scogli abbracciato ai figli e con il cadavere di Leonì davanti agli occhi. Ha chiamato ad uno ad uno i suoi bambini, i due più piccoli se li è messi sulle gambe e li ha invitati a pregare: «Ho detto loro che non l’avremmo mai lasciata sola e così ho chiesto al sindaco di Pantelleria se potevamo fermarci». Dice ancora il sindaco Di Marzo: «Ho deciso di ospitare Kamil per lanciare un messaggio: se ciascuno degli 8100 comuni italiani adottasse anche solo una famiglia di rifugiati, in Italia potremmo dare conforto a più di 40 mila rifugiati». Si comincia da Pantelleria, 42 miglia da Capo Bon e 62 miglia da Marsala.


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