È lungo e dettagliato il capitolo dedicato all’Italia nel rapporto 2024 sullo Stato di diritto nei paesi Ue. In origine il report doveva essere pubblicato all’inizio del mese, ma le contingenze elettorali e ancora di più ragioni di opportunità politica (non fa mai piacere a un governo ricevere critiche, soprattutto quando la presidente della Commissione era in cerca di voti) lo hanno fatto slittare alla prima data utile dopo il via libera dell’Eurocamera all’Ursula bis.
Ampio spazio viene dedicato alla libertà dei mezzi d’informazione, secondo l’esecutivo Ue sotto attacco per scarsa indipendenza della tv pubblica e per le non sufficienti tutele ai giornalisti. Anche se l’Italia non è sola – critiche su questo versante sono state rivolte anche alla Grecia, ma anche per differenti ragioni a Francia e Slovacchia – le osservazioni critiche coprono anche altri ambiti sensibili per il governo Meloni: la giustizia – inclusa la riforma Nordio e l’eliminazione dell’abuso d’ufficio -, ma soprattutto il premierato, rispetto al quale si esprimono «preoccupazioni in merito alle modifiche proposte all’attuale sistema di controlli e bilanciamenti istituzionali», nonché «dubbi sul fatto che ciò possa apportare maggiore stabilità». Il rapporto segnala che «con questa riforma, non sarebbe più possibile per il presidente della Repubblica trovare una maggioranza alternativa e/o nominare una persona esterna al parlamento come primo ministro» con nei casi dei governi Monti o Draghi. A questo si accompagna la critica all’eccessivo ricorso alla decretazione come accade, di nuovo in Francia, e poi in altri paesi come l’Estonia.
Bocciata senza appello Budapest, maglia nera dello stato di diritto in Ue, che colleziona il maggior numero di raccomandazioni per non aver combattuto la corruzione e non aver mostrato nessun progresso in settori chiave come «l’indipendenza dei media del servizio pubblico» e «la promozione di uno spazio civico sicuro». Non manca un richiamo, in questo caso verso Roma, in merito ai mancati progressi su trasparenza delle lobby e sulla creazione di un registro elettronico sul finanziamento ai partiti.
Oltre all’allarme per le ripetute aggressioni ai giornalisti, osservazioni importanti sulla situazione italiana contenuta nel report riguardano l’indipendenza della Rai. Il rapporto fa riferimento alla lettera di denuncia sullo stato del servizio pubblico inviata a Bruxelles dalla Federazione nazionale della stampa (Fnsi) e riporta «preoccupazioni di lunga data» sulla Rai, a fronte della quali si raccomanda «una riforma globale per garantire che il servizio pubblico sia meglio protetto dai rischi di interferenza politica» in modo da garantirne la «piena indipendenza». «Le autorità devono adottare misure urgenti in Italia, che è scesa di 5 posizioni al 46° posto nell’indice di Reporter senza frontiere citato dal rapporto», commenta la portavoce Ue di Rsf Julie Majerczak.
Oltre al La libertà di stampa in Italia è in sofferenza anche per un’altra ragione: non è stato portato avanti il processo legislativo per introdurre una riforma del reato di diffamazione, della tutela del segreto professionale e delle fonti giornalistiche, alla luce degli standard europei. La legislatura appena trascorsa ha licenziato il Media freedom act o Legge europea sulla libertà dei media, che però entrerà in vigore solo tra un anno. Il rapporto menzione invece i timori rispetto all’emendamento Costa (nella riforma Nordio), sul divieto di pubblicazione del testo dell’ordinanza di custodia cautelare fino all’avvio del processo.
«Le leggi bavaglio e le proposte di carcere per i giornalisti rappresentano le punte dell’iceberg di una deriva illiberale e antidemocratica la cui responsabilità è tutta in capo a questo governo», attacca la presidente delle commissione di vigilanza Rai, la 5S Barbara Floridia. «Anche sulla Rai arrivano conferme sulla situazione inaccettabile di ingerenza della politica cristallizzata con la Legge Renzi del 2015. Serve una riforma che contrasti le interferenze della politica».
Respinge al mittente le raccomandazioni il forzista Maurizio Gasparri, il cui nome resta legato alla legge sull’assetto del sistema radiotelevisivo del 2004: l’Italia è «culla delle democrazia e del pluralismo», parola sua. Sollecita invece il rispetto della Legge sulla pluralità dei media europei il Pd Sandro Ruotolo, quando ricorda come l’avversione di FdI e Lega ai provvedimenti Ue su libertà e pluralismo dei media. «Il posizionamento a destra di Giorgia Meloni isola sempre più l’Italia dal resto d’Europa».
* Fonte/autore: Andrea Valdambrini, il manifesto