Precettazioni e diritto di sciopero, il problema è politico

Precettazioni e diritto di sciopero, il problema è politico

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La relazione annuale della Garante degli scioperi Paola Bellocchi: su 1.649 proclamazioni, 639 sono stati nel trasporto passeggeri, quasi il 40%. Il problema della precettazione alla quale è ricorso più volte il ministro dei trasporti Matteo Salvini. E quello di una legge (la 146 del 1990) ritenuta da molti inadeguata e penalizzante del diritto costituzionale di sciopero

 

Con il governo Meloni, e con Matteo Salvini al ministero dei trasporti, il 2023 è stato un anno complicato sul fronte degli scioperi e delle precettazioni. Quello in corso non è da meno. L’ultimo episodio è accaduto nel mese di maggio in occasione del Gran Premio di Imola. Salvini lo ha usato per bloccare uno sciopero dei trasporti nazionale indetto dai sindacati di base. La motivazione è la stessa usata in altre occasioni negli ultimi mesi. Lo sciopero dei treni danneggia un “grande evento”, i “trend turistici”, lo shopping, l’estate dei viaggiatori. Si contrappongono i diritti dei lavoratori che scioperano con i diritti dei cittadini utenti dei servizi. E, così facendo, si limita ancora di più il diritto costituzionale di sciopero che molti considerano già penalizzato, se non già neutralizzato, attraverso l’uso discrezionale, e autoritario, degli strumenti previsti dalla legge 146 del 2000. Una legge criticata sempre di più negli ultimi tempi perché ritenuta non adeguata alla democrazia sindacale, anche perché manca una legge sulla rappresentanza sulla quale non c’è accordo in Italia. Ma soprattutto la legge è criticata per l’eccesso di regolazione che è diventata punitiva e nega un diritto costituzionale. Tanto è vero è che l’Unione Sindacale di Base (Usb) ha presentato due anni fa un reclamo contro questa legge al Comitato Europeo per i diritti sociali.

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Il problema è stato riconosciuto da Paola Bellocchi, presidente della Commissione di garanzia dell’attuazione della legge sullo sciopero nei servizi pubblici essenziali, che ieri ha presentato alla Camera la Relazione annuale 2023. “Seguo queste materie da molti anni – ha detto – e sono ben consapevole delle critiche di quanti ritengono la legge 146 ormai insufficiente, non più adeguata ai tempi e bisognosa di un aggiornamento normativo quantomeno nel settore dei trasporti (aereo, ferroviario, marittimo, pubblico locale)”.

Un settore quest’ultimo in cui si è espressa, anche nel 2023, un’alta conflittualità sindacale: “C’è stato un incremento significativo, di circa il 20%” degli scioperi ha osservato Bellocchi. In termini generali, il 40% delle astensioni dal lavoro lo scorso anno hanno riguardato i trasporti: 639 su 1649 proclamazioni. Mentre su 1129 scioperi presi in esame dalla relazione, 920 hanno avuto una dimensione locale, oltre l’80%. A ripercorrere le ultime agitazioni salta agli occhi il fatto che sono state indette in particolare per questioni legate alle condizioni salariali e contrattuali, oltre che della sicurezza e della qualità della vita sul lavoro, dopo un paio d’anni di macro-inflazione e di perdita del potere di acquisto. In tutte le proteste degli ultimi mesi questo è stato un elemento politicamente rilevante.

Così come rilevante è stata la risposta del governo che ha usato la legge 190, e i suoi limiti, per restringere la possibilità di esercitare i propri diritti in un momento in cui è difficile ottenere una risposta soddisfacente sia dal governo che a livello aziendale.

Tre sono state le precettazioni fatte da Salvini nel 2023. La prima, il 12 luglio, anche su indicazione del Garante, in occasione di uno sciopero nazionale del trasporto ferroviario indetta da Cgil e Uil; la seconda il 14 novembre in occasione dello sciopero generale indetto da Cgil e Uil e l’ultima il 12 dicembre indetto da Cub Trasporti, Cobas, Adl Cobas e Sgb. In tutti i casi il Ministro ha disposto la riduzione della programmata durata delle astensioni.

“La precettazione – ha detto Bellocchi – non può comunque essere una soluzione “di sistema”, quale punto di equilibrio e di conciliazione tra i diversi interessi in gioco, bensì rimane – come dice la legge – la soluzione di “un caso”, espressione di un potere straordinario orientato da necessità contingenti e di urgenza sociale”.

Ma sono, appunto, le “necessità contingenti e di urgenza sociale” ad essere state contestate dai sindacati. In pratica tutti, a partire dalle proprie posizioni non facilmente componibili, hanno denunciato il carattere autoritario, parziale e ideologico usato da Salvini in queste occasioni. Nel novembre 2023, ad esempio, la precettazione era stata disposta per “proteggere il turismo’’, per evitare “traffico’’ sulle strade e, infine, perché c’era il “rischio’’ che lo sciopero avesse “una forte adesione”. “Mai un ministro aveva precettato e impedito ai lavoratori dei trasporti di scioperare – sottolineò Maurizio Landini (Cgil)- Viene messo in discussione il diritto soggettivo di scioperare, previsto dalla costituzione”.

Quando il Tar del Lazio accolse il 28 marzo 2024 il ricorso di Usb e Cobas, Adl, Sgb, Cub e Al sulla riduzione a quattro ore (da 24) dello sciopero del 15 dicembre 2023 l’Usb ha commentato: «Salvini si è comportato più da Napoleone in miniatura e non da ministro della Repubblica in cui valgono le leggi e non i fuochi d’artificio a favore di telecamere per raggranellare qualche voto e qualche consenso in più”.

Una motivazione più strutturale dell’indebolimento del diritto di sciopero e, in generale, delle relazioni sindacali oggi in Italia è stata fornita dalla relazione della Garante. Sono le “esternalizzazioni dei servizi pubblici essenziali” attraverso appalti e subappalti al ribasso.  Ad esempio, nel privato sociale e nella sanità pubblica dove l’outsourcing si sta estendendo da servizi accessori e strumentali (lavanderia, pulizie, parcheggio, call center) a servizi più qualificati anche dal punto di vista medico: i test di laboratorio e l’assistenza infermieristica. Quasi la metà degli scioperi che sono stati proclamati a livello locale riguardano la gestione di servizi comunali esternalizzati. Lo stesso avviene nei servizi socio-assistenziali ed educativi ad anziani o disabili, la refezione e il trasporto scolastico, la gestione degli asili nido e delle scuole materne. Va anche ricordato che questi settori sono ad altissima precarietà. E i salari sono bassi.

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La linea politica antisindacale delle destre al governo risponde a un’idea di politica sociale volta a dare il colpo finale al diritto di sciopero. Tali limitazioni – ha ricordato Bellocchi nella sua relazione – non sono dovute soltanto alla regolazione delle fasce garantite per i servizi essenziali, diversamente da quanto accade in Germania o in Francia. In quest’ultimo paese viene da tempo sperimentato il “grève reconductible”: ogni giorno, senza preavviso, i lavoratori si riuniscono e decidono di prolungare l’agitazione alternandosi. Teoricamente, con una durata a tempo indeterminato. È un esercizio di democrazia che dovrebbe essere visto con interesse, invece di auspicare la limitazione. A dire di Bellocchi, infatti, “la nostra legge di regolamentazione dello sciopero è guardata con notevole interesse”. In realtà, come è accaduto in Inghilterra dopo la Brexit, il diritto di sciopero è stato limitato direttamente dal governo con l’adozione dello “Strikes – Minimum Service Levels – Act 2023”. In Italia, al di là dei limiti oggettivi della legge in vigore, accade lo stesso attraverso una interpretazione unilaterale da parte dell’esecutivo.

Gli scioperi provocano disagi. Quando riescono, sono il segno di un conflitto. E quando si parla di diritto di sciopero, e della sua violazione, è in questione il senso della democrazia e dei rapporti di forza. La storia italiana dimostra come, già dal 1990, sia in atto un lungo tentativo di negare la loro efficacia, approfittando dell’ormai strutturale depoliticizzazione della società, oltre che della difficoltà politica di ottenere risultati al di là dei pur rari successi settoriali. Ulteriori elemento di interesse è quello per cui ogni limitazione, avvenuta anche attraverso accordi e protocolli, sia avvenuta in coincidenza con i “grandi eventi” come i Mondiali di calcio in Italia del 1990. La motivazione è sempre la stessa: non si può interrompere un’emozione. Degli sponsor. E dell’economia degli eventi.

* Fonte/autore: Roberto Ciccarelli, il manifesto



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