Il portavoce militare israeliano, Daniel Hagari, inizialmente ha dichiarato: «Al momento non siamo a conoscenza di questo incidente». Poi ha negato che l’aviazione dello Stato ebraico abbia preso di mira l’accampamento di Mawasi.

HAGARI si è affannato ieri a ripetere che Israele non ha responsabilità nel massacro di domenica sera. La causa della strage, ha detto, va cercata nelle «munizioni o qualche sostanza combustibile» di Hamas che, colpite da schegge, hanno causato «un’esplosione secondaria e l’incendio» nella tendopoli di Tel al Sultan. Quindi Israele – che ammette di aver sparato «solo due piccoli missili» che hanno ucciso due alti dirigenti di Hamas, obiettivo dell’attacco aereo a Rafah – accusa il movimento islamico di aver di fatto provocato la morte di tante persone nascondendo nei pressi del campo di tende scorte di carburante e munizioni. Un resoconto non verificabile che però potrebbe offrire all’amministrazione Usa il pretesto per non intimare a Israele di interrompere l’attacco a Rafah, proclamando allo stesso tempo di essere contraria all’offensiva contro la città che da mesi è descritta come «l’ultimo bastione di Hamas a Gaza».

I carri armati ieri hanno raggiunto il centro di Rafah per la prima volta e la brigata Bislamach si è unita alle altre della 162ª divisione per dare più forza all’offensiva. Testimoni hanno raccontato di aver visto mezzi corazzati e truppe intorno alla centrale moschea Al Awda. I cingolati hanno poi preso posizione sulla collina Zurub. Gli abitanti hanno riferito anche di scontri a fuoco tra militari israeliani e combattenti di Hamas e dell’utilizzo da parte delle forze di occupazione di veicoli blindati in apparenza manovrati da remoto.

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I bombardamenti dell’artiglieria hanno preso di mira obiettivi ad Haret Tabasi, Barika, Al-Zar e nei pressi dell’ospedale indonesiano e della clinica Tal Al-Sultan.

«LA SITUAZIONE è molto pericolosa – ha detto a giornalisti locali Faten Jouda, 30 anni, un abitante – Non abbiamo dormito tutta la notte. Ci sono stati bombardamenti da tutte le direzioni, di artiglieria e dal cielo». Jouda ha aggiunto che altre migliaia di persone sono scappate nelle ultime ore e che presto lo farà anche lui per dirigersi verso l’area di Mawasi, proclamata da Israele sicura e protetta per i civili e che ieri è stata ugualmente colpita.

L’ONU avverte che circa un milione di palestinesi hanno lasciato l’area di Rafah nelle ultime tre settimane sotto la pressione dell’avanzata israeliana. «Ciò è avvenuto senza un posto sicuro dove andare e in mezzo a bombardamenti, mancanza di cibo e acqua, cumuli di rifiuti e condizioni di vita inadeguate», ha spiegato l’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni unite per i profughi palestinesi.

È INTERVENUTO anche il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, che ha «condannato con la massima fermezza» i raid aerei su Rafah. «Ho il cuore spezzato dalle immagini delle persone uccise e ferite, tra cui molti bambini piccoli. L’orrore e la sofferenza devono cessare subito», ha esortato. Il capo dell’Onu insiste per un «cessate il fuoco immediato e il rilascio incondizionato di tutti gli ostaggi (israeliani)».
I combattimenti proseguono nel nord e nel centro di Gaza. L’esercito israeliano afferma di aver distrutto a Jabaliya depositi di armi, rampe di lancio di razzi, tunnel sotterranei, edifici «usati da Hamas» e di aver ucciso numerosi combattenti palestinesi durante scontri a fuoco tra i più intensi di questi ultimi mesi. Israele ha anche ampliato l’offensiva nell’area del Corridoio Netzarim, la strada lunga circa cinque chilometri da est a ovest che ha tagliato in due la Striscia. A est di Gaza City, tre palestinesi della famiglia Al Ghussein sono stati uccisi da una cannonata. Il bilancio totale di palestinesi morti dal 7 ottobre ha superato due giorni fa il numero di 36mila.

Ieri è riapparso in un video un ostaggio israeliano, preso dai militanti del Jihad islami a Nir Oz il 7 ottobre. Subito le famiglie degli oltre 120 israeliani prigionieri a Gaza hanno chiesto al governo di rilanciare una trattativa concreta con Hamas e altri gruppi palestinesi.

NEL NORD di Israele ieri non c’era solo il premier Netanyahu in visita alle truppe schierate a ridosso del confine con il Libano. Nei pressi della frontiera si aggirava anche l’ex candidata presidenziale Usa Nikki Haley. Accompagnata dall’ex ambasciatore israeliano all’Onu, Danny Danon, Haley che potrebbe essere nominata vicepresidente se Donald Trump sarà rieletto a fine anno, ha espresso un forte sostegno a Israele. Su alcuni dei proiettili di artiglieria che l’esercito di Tel Aviv spara sul Libano, ha scritto «Finiteli! L’America ama Israele!».

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto