Bursh, durante la prima occupazione dello Shifa da parte dell’esercito israeliano, lo scorso novembre, si era trasferito all’ospedale Al Awda, nel nord di Gaza, dove il mese successivo è stato fermato e portato via dai soldati israeliani. Sarebbero oltre 5mila i palestinesi di Gaza arrestati dopo il 7 ottobre.  Una parte – pare almeno 800 – sono in basi militari e campi di detenzione nel Neghev e altre località dove, riferiscono anche le ong israeliane per i diritti umani, vengono torturati e tenuti in condizioni di estremo degrado. Fino a due giorni fa erano almeno 27, secondo fonti di stampa, i palestinesi di Gaza morti in carcere dopo il 7 ottobre. Due settimane fa un gruppo di militanti della sinistra israeliana ha tenuto un raduno di protesta nei pressi di Sde Taiman, una base dell’aviazione dove si sono verificati gli abusi più gravi, secondo le testimonianze di ex detenuti e di alcuni medici.

L’attacco israeliano contro Rafah resta sul tavolo del gabinetto di guerra israeliano che si è riunito di nuovo ieri per decidere le prossime mosse, anche nel nord dove un’offensiva di terra contro il Libano è una possibilità concreta. Hamas ieri ha fatto sapere che invierà una delegazione al Cairo per discutere ancora della proposta egiziana per una tregua che dovrebbe portare al rilascio di decine di ostaggi israeliani e a congelare l’avanzata israeliana contro Rafah. Hamas due giorni fa aveva segnalato che la sua risposta sarà negativa dopo le dichiarazioni fatte due giorni fa del premier israeliano Netanyahu – l’attacco ci sarà anche se saranno liberati gli ostaggi – che hanno quasi azzerato le possibilità di successo della trattativa. Poi il clima è in parte cambiato. Il capo di Hamas all’estero, Ismail Haniyeh, ieri ha ribadito la disponibilità del suo movimento a continuare le trattative. Il giornale qatariota Al Arabi al Jadid ha aggiunto che sono stati risolti diversi punti controversi – come lo scambio tra ostaggi e prigionieri palestinesi -, mentre resta ampia la distanza sul nodo più difficile: il cessate il fuoco. Hamas chiede la fine della guerra. Israele vuole concedere solo una sosta, di alcune settimane, e poi riprendere l’offensiva che ha già ucciso in sette mesi circa 35mila palestinesi.

Il celebre giornalista americano e premio Pulitzer, Seymour Hersh, prevede che la posizione israeliana non si modificherà: l’obiettivo resta colpire Hamas ad ogni costo, nonostante le famiglie degli ostaggi abbiano intensificato le manifestazioni e i blocchi stradali, anche ieri, per chiedere un accordo con il movimento islamico che riporti a casa i sequestrati del 7 ottobre. «Quando l’ultimo membro di Hamas verrà centrato da una pallottola, allora ci sarà un cessate il fuoco. Andranno anche a Rafah. Fine della storia. Se Netanyahu si dimettesse domani, un membro del gabinetto di guerra prenderebbe il suo posto e non ci sarebbe alcun cambiamento di politica», ha scritto Hersh citando un dirigente della Cia che ha usato un proverbio turco per spiegare la linea di Netanyahu: «Bruceremo una coperta per uccidere una pulce».

La coperta è stata già «bruciata» in gran parte. Gaza è in macerie. La ricostruzione costerà tra i 30 e i 40 miliardi di dollari e durerà fino al 2040 secondo le stime dell’Undp (Onu). «La portata della distruzione è enorme e senza precedenti – ha detto il capo per il Medio oriente dell’Undp, Abdallah Dardari – questa è una missione che la comunità internazionale non affrontava dalla Seconda Guerra Mondiale». Dardari ha ricordato che ci sono già ora quasi 40 milioni di tonnellate di macerie causate dai bombardamenti israeliani. «Il 72% degli edifici residenziali è stato completamente o parzialmente distrutto», ha detto. Non va dimenticata l’opera di bonifica delle bombe inesplose sparse per Gaza, che dovrà precedere la ricostruzione. I bombardamenti peraltro non cessano. Nelle ultime 24 ore hanno preso di mira diversi punti della Striscia, in particolare Nuseirat dove hanno fatto diverse vittime.

In Cisgiordania sale la tensione tra combattenti armati e l’Autorità nazionale palestinese che mercoledì notte ha condotto «operazioni di sicurezza» nel campo profughi di Tulkarem. Gli agenti hanno ucciso Ahmed Abu Al Foul, un giovane militante del Jihad islami.

* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto