Gaza. Human Rights Watch: Israele usa la fame come strumento di guerra
L’ong per i diritti umani accusa il governo Netanyahu di non aver rispettato l’ordine della Corte dell’Aja a difesa dei civili palestinesi
GERUSALEMME. A Gaza raccontano la storia di tre fratellini: Saraj Shehada di 8 anni, Ismail di 9 e Saad di 11. Per fame, senza dire nulla al padre, sono scappati da Gaza City per raggiungere la zia sfollata che vive in una tenda a Deir al Balah, nella speranza di trovare più cibo. Una scelta molto rischiosa per dei bambini, nel pieno dell’offensiva militare israeliana. Ma obbligata dopo aver mangiato per giorni e giorni solo pane fatto con mangime animale invece della farina. «Quando eravamo a Gaza City, mangiavamo pochissimo e ogni due giorni. Ci nutrivamo di cibo per uccelli e asini, ogni cosa commestibile, pur di mettere qualcosa nello stomaco», ha detto Saraj a un giornalista locale. Nella tenda di Deir al Balah, i tre fratelli hanno raccontato di aver perso la madre, un altro fratello e diversi parenti a causa dei bombardamenti israeliani.
«IL PANE FATTO con il mangime era amaro», ha aggiunto Saad, il più grande dei tre «però eravamo costretti a mangiarlo, un piccolo pane ogni due giorni», ha detto, aggiungendo di aver bevuto acqua sporca e che non c’era modo di lavarsi. Poi i tre fratelli sono scappati dalla zia Eman, rimasta vedova e all’ultimo mese di gravidanza. La donna non sa come potrà aiutare i nipoti quando partorirà e come potrà fare con un neonato in una situazione di morte e distruzione come quella di Gaza. Pare che le donne che non possono allattare facciano succhiare datteri avvolti nelle garze ai bimbi: il latte in polvere non si trova da settimane.
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LA FAME è uno spettro per tutti a Gaza, soprattutto nel nord dove gli aiuti umanitari arrivano con il contagocce a causa dell’occupazione israeliana. Alcuni dei pochi camion umanitari che hanno raggiunto la parte settentrionale sono stati assaliti da folle disperate e affamate. Gli operatori Onu hanno riferito di aver visto persone molto magre e con gli occhi infossati. Nel centro di Gaza, come a Deir al Balah, la situazione è leggermente migliore ma comunque difficile.
A Gaza la fame però è anche uno strumento di guerra. «Il governo israeliano sta affamando i 2,3 milioni di palestinesi di Gaza, mettendoli in un pericolo ancora maggiore rispetto a prima dell’ordine vincolante della Corte internazionale di Giustizia dell’Aia» sull’invio degli aiuti ai civili, denuncia Omar Shakir di Human Rights Watch: «Israele ha semplicemente ignorato la sentenza della Corte e in qualche modo ha addirittura intensificato la sua repressione, con l’ulteriore blocco degli aiuti».
L’ong per i diritti umani ricorda come, sulla base delle «condizioni catastrofiche» a Gaza, un mese fa i giudici dell’Aia ordinarono a Israele di «adottare provvedimenti immediati ed efficaci per consentire la fornitura di servizi di base e aiuti umanitari urgentemente necessari» e di riferire sulla sua conformità alle misure entro un mese. Invece un mese dopo, osserva Shakir, «Israele continua a ostacolare la fornitura di servizi di base e l’ingresso e la distribuzione all’interno di Gaza di carburante e aiuti salvavita».
NELL’ULTIMO MESE sarebbe entrato a Gaza il 30% in meno di camion rispetto al periodo precedente alla sentenza della Corte. Si tratta, denuncia Hrw, di «atti di punizione collettiva che equivalgono a crimini di guerra» e includono l’uso della fame di civili come «arma di guerra». Israele respinge le accuse e sostiene che sono le Nazioni unite a «non fare il loro lavoro». Le agenzie umanitarie replicano che bombardamenti e attacchi israeliani rendono impossibile, in molti casi, procedere alla distribuzione. Il cessate il fuoco resta un miraggio, mentre i palestinesi uccisi dal 7 ottobre da bombardamenti e combattimenti sono quasi 30mila. Ieri in Qatar sono continuati i negoziati per il rilascio di 40 – donne, anziani, minori e soldate – dei 136 ostaggi israeliani a Gaza in cambio di una tregua di sei settimane e della scarcerazione di centinaia di prigionieri politici palestinesi.
TUTTAVIA l’ottimismo sull’andamento della trattativa circolato negli ultimi giorni appare esagerato di fronte alla complessità della trattativa e alle ampie differenze tra Israele e Hamas. Se da un lato a Parigi sono stati tracciati, come dicono gli Usa, i contorni di un accordo per un cessate il fuoco temporaneo, dall’altro si sarebbe irrigidita la posizione di alcuni ministri israeliani e dello stesso premier Netanyahu e ora i negoziati in Qatar rischiano di non portare a nulla. Secondo la tv Canale 12, il primo ministro si è avvicinato ulteriormente alle posizioni dell’estrema destra e avrebbe posto la condizione che i prigionieri palestinesi condannati per attentati e attacchi armati una volta scarcerati dovranno essere espulsi in Qatar. Non è chiaro se Hamas, come riferiscono i media, abbia rinunciato alla condizione della cessazione completa dell’offensiva israeliana per liberare gli ostaggi e che il gabinetto di guerra guidato da Netanyahu non intende soddisfare in alcun caso.
I COMANDI militari israeliani continuano a preparare l’attacco a Rafah e avrebbero presentato al governo un piano per l’evacuazione dei civili palestinesi, oltre un milione, ammassati in buona parte in tendopoli sul confine con l’Egitto. Piano di cui non si conoscono i punti mentre le agenzie umanitarie avvertono che l’evacuazione di così tante persone potrebbe sfociare in una catastrofe.
Ieri sono continuati con particolare intensità gli scontri tra Israele e Hezbollah dopo l’abbattimento di un drone che aveva violato lo spazio aereo libanese da parte del movimento sciita. Israele ha poi bombardato con missili nei pressi del sito storico-archeologico di Baalbek, nella Valle della Bekaa, non accadeva dall’8 ottobre, e ha ucciso a Tiro un ufficiale di Hezbollah che a sua volta ha lanciato 60 razzi in direzione di una base israeliana.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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