In Europa la Lombardia decide per tutta l’Italia in campo ambientale
Intervista a Francesco Forastiere, visiting professor all’Imperial College di Londra: «Siamo il Paese che ha il primato dei morti attribuibili all’inquinamento, tra i 50.000 e i 70.000 decessi l’anno dovuti alle Pm25, ma paradossalmente, chiediamo la deroga della direttiva europea sulla qualità dell’aria»
Francesco Forastiere è visiting professor all’Imperial College di Londra e dirige la rivista Epidemiologia & Prevenzione. Con alcuni colleghi europei ha pubblicato sull’International Journal of Public Health un documentato appello a non rinviare l’adozione della direttiva europea sulla qualità dell’aria. La norma imporrebbe limiti anti-inquinamento stringenti da raggiungere entro il 2030 e alcuni governi chiedono di spostare il termine al 2040. Tra questi l’Italia, che secondo i dati nei giorni scorsi ha avuto la peggiore qualità dell’aria al mondo insieme alle metropoli asiatiche.
Prof. Forastiere, ha senso paragonare l’aria di Dehli e quella di Milano?
I dati non sono sbagliati ma bisogna saperli leggere. L’inquinamento giornaliero subisce grandi variazioni quotidiane dovute anche alla meteorologia. Perciò una graduatoria giornaliera per un fenomeno così volatile non ha grande significato. I confronti si fanno sulle medie annuali. E questi ci dicono che al mondo vi sono zone molto inquinate, in particolare alcune aree dell’India e della Cina, ma anche in Europa vi sono aree meno inquinate ma meritevoli di grande attenzione. Tra queste c’è la soprattutto la Pianura padana.
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Perché, come scrivete, il rinvio colpirebbe soprattutto l’Italia?
L’Italia ha il primato dei morti attribuibili all’inquinamento. Si stimano tra i 50.000 e i 70.000 decessi l’anno dovuti alle Pm25. Perciò ritardare le misure in Italia significa spalmare questa mortalità su un maggiore numero di anni. Paradossalmente, però, è proprio l’Italia a chiedere la deroga nei negoziati, sostenendo che non riusciremmo ad adeguarci in così poco tempo.
Segnalate anche che il rinvio allargherebbe le disuguaglianze.
La deroga richiesta riguarderebbe i Paesi con una situazione meteorologica sfavorevole, cioè la Pianura padana, o un Pil pro-capite sotto la media europea, cioè i paesi dell’Est. Ma sono anche i Paesi che già pagano il prezzo più alto in termini di salute. Quindi, accettando la deroga si condannano i Paesi più sfavoriti a rimanere in una condizione di svantaggio.
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Come si spiega questo comportamento apparentemente suicida da parte del nostro governo?
La posizione italiana è molto influenzata dalle Regioni della Pianura padana, e soprattutto della Lombardia. È la Lombardia a sostenere che la richiesta europea è eccessiva. In realtà, manca l’intenzione di agire.
Quali misure andrebbero prese?
I settori su cui intervenire sono quattro. Primo: il traffico veicolare. Bisogna ridurre le auto inquinanti, abbassare la velocità nei centri urbani, sostituire il trasporto individuale con quello pubblico, spostare le merci dalla gomma alla rotaia. Secondo: il riscaldamento. Nelle aree rurali si è puntato molto su legna e pellet, le fonti più economiche ma anche più inquinanti. Si aggiunga la cattiva abitudine di tenere temperature troppo alte negli ambienti chiusi. Terzo: gli allevamenti. L’industria del parmigiano reggiano e dei salumi provoca enormi emissioni di ammoniaca che poi si trasforma in Pm25. Oltre a ridurre il consumo di carne, occorre adottare le tecnologie e metodi di concimazione che abbattano le emissioni. Quarto: le emissioni industriali. Sono stati fatti molti passi avanti, ma l’intensità industriale della Pianura padana comporta un volume assoluto di emissioni inquinanti comunque elevato.
La qualità dell’aria ha un forte impatto sulla salute. Se ne tiene conto a sufficienza in campo sanitario, ad esempio quando si definiscono i livelli essenziali di assistenza da garantire?
Solo in teoria. La sanità è così malmessa dal punto di vista del finanziamento che i problemi ambientali sono percepiti come un lusso. In realtà l’inquinamento comporta dei costi sanitari enormi. La direttiva europea spiega che per ogni euro investito in qualità dell’aria se ne risparmiano 10 o 20 in spesa sanitaria. Ma manca la sensibilità per tradurre questi dati in misure concrete.
* Fonte/autore: Andrea Capocci, il manifesto
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