Alitalia: 2.668 licenziamenti ma la vertenza continua

Alitalia: 2.668 licenziamenti ma la vertenza continua

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I commissari che hanno venduto a Ita per un euro cercano di chiudere la liquidazione. Nonostante il decreto blitz del governo, i giudici stanno reintegrando i lavoratori

 

L’infinita vertenza Alitalia registra una nuova tappa del dramma sociale che da decenni vivono decine di migliaia di famiglie. Come era atteso, i commissari straordinari di Alitalia – la vecchia compagnia di bandiera che ha venduto tutti gli asset volo a Ita per un solo euro – ha annunciato a sindacati e governo l’apertura della procedura di licenziamento per la quasi totalità dei dipendenti rimasti: ben 2.668, di cui 1.500 assistenti di volo (quasi tutte donne) e quasi 500 personale di terra. Si tratta di uno dei più grandi licenziamenti collettivi della storia italiana.

I TRE COMMISSARI – GUIDATI da Gabriele Fava che il ministro Giorgetti vuole promuovere alla presidenza dell’Inps – hanno scritto venerdì sera la lettera per sfruttare il minor clamore mediatico del week end. «La scrivente – si legge – è impossibilitata al reimpiego dei lavoratori attualmente sospesi in cassa integrazione». E che tutto questo avviene «sebbene non siano stati ultimati i processi di ricollocazione». I piani del governo Draghi e della Regione Lazio di formazione e collocamento sono infatti miseramente falliti.

Si salvano dal licenziamento solo 172 dipendenti che Alitalia manterrà per gestire l’ultima fase di liquidazione dell’azienda. Troppi – e quasi tutti dirigenti – anche rispetto alla quasi nulla attività data dall’azzeramento dell’attività: tutti i tre rami di azienda – aviation a Ita, manutenzione a Atitech, handling a Swissport – sono stati ceduti, sempre con pesanti tagli occupazionali.

IL NUMERO DEI LAVORATORI di Alitalia negli ultimi mesi è sceso proprio grazie alle vittorie davanti ai giudici del Lavoro di Roma e Milano per 252 il numero di addetti Alitalia a cui è stato riconosciuto il diritto alla prosecuzione del rapporto di lavoro in Ita in forza del «Contratto di vendita» – tenuto segreto dal governo per anni e svelato ad aprile dal manifesto – che dimostra totale continuità tra Alitalia e Ita. Almeno tre sentenze a Roma e Milano hanno confermato la cessione di ramo d’azienda e reintegrato i lavoratori ai sensi dell’articolo 2112 del Codice civile.

I 2.668 lavoratori – buona parte dei quali in cassa integrazione da molti anni – potranno contare su altri 10 mesi di cassa integrazione straordinaria fino a ottobre 2024 prevista ad hoc dal decreto Asset: sarà in capo al governo (non all’azienda), non copre chi può andare in pensione e non può 60% dello stipendio con tetto a 2500 euro lordi al mese, con forte penalizzazione per i 293 piloti o il personale di volo con maggiore anzianità.

LA REAZIONE DI SINDACATI e opposizione è dura. La Uilt chiede «che i 3000 lavoratori siano ricollocati nelle aziende nate dallo spacchettamento di Alitalia o in altre del settore. In alternativa venga allungata la cassa integrazione per tutto il 2025». Su posizioni simili la Filt Cgil: «Il governo – chiede Fabrizio Cuscito – fermi immediatamente i licenziamenti e proroghi la cigs al 2025. Consentirebbe alle società che hanno ereditato gli asset di Alitalia di riassorbire tutti».

Anthony Barbagallo, capogruppo Pd in commissione Trasporti, attacca: «Il governo non ha voluto tutelare i dipendenti in vista della cessione alla tedesca Lufthansa. E oggi con questa comunicazione il governo getta la maschera». Il sottosegretario Claudio Durigon in serata ha promesso «un tavolo».

A fine settembre il governo era già intervenuto cercando di azzerare i reintegri con un decreto legge per dettare la linea ai giudici del lavoro. Una «nota interpretativa che in coerenza con le decisioni della Commissione Europea, esclude che nel passaggio da Alitalia a Ita vi sia continuità fra le due aziende» per la incertezza giurisprudenziale nei tribunale del Lavoro. La norma è stata convertita nonostante la lotta dei sindacati di base Cub e Usb, le proteste degli avvocati appoggiati da Pd e M5s.

Il governo l’aveva motivata con il rischio che Lufthansa si ritirasse dall’acquisto di Ita. Una falsità palese visto che i tedeschi si erano già cautelati: ogni reintegro porta ad uno sconto sul computo dell’aumento di capitale che Lufthansa farà per comandare con il solo 41% di Ita. I 325 milioni annunciati sono già scesi sotto quota 300. A pagare sarà il governo Meloni.

NEL FRATTEMPO I GIUDICI del lavoro presto si pronunceranno mentre fra pochi mesi ci saranno giudizi di appello a Roma e a Milano. Uno degli avvocati protagonisti delle vittorie giudiziarie, Pierluigi Panici, spiega la situazione. «I sindacati confederali dovrebbero fare mea culpa: hanno avallato il mancato utilizzo del 2112. Ita ha un piano di sviluppo che è stato prolungato al 2027. Questa è la prospettiva concreta: una progressivo riassorbimento dei lavoratori Alitalia che nel frattempo possono essere collocati da Ita in cassa integrazione a rotazione. Adesso invece cosa accadrà? Altre 2.600 cause perché i licenziati sanno di aver diritto a essere riassunti da Ita. Ma certo la politica industriale non può essere fatta nei tribunali», conclude Panici.

* Fonte/autore: Massimo Franchi, il manifesto



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