Martedì notte mentre i parenti piangevano Elham Farah, le truppe israeliane sono penetrate nello Shifa e ne hanno perquisito stanze, dipartimenti e il seminterrato in un’incursione che ha messo in forte allarme l’Oms e l’Onu per la sorte di migliaia di civili intrappolati all’interno: pazienti, staff e sfollati giunti dal nord. Centinaia, forse migliaia di persone. Ieri per tutto il giorno i soldati israeliani hanno cercato sotto e intorno all’ospedale il cosiddetto «cuore pulsante» di Hamas, il quartier generale del movimento islamico a Gaza city. Per settimane i comandi militari israeliani, il premier Netanyahu e il ministro della Difesa Yoav Gallant hanno ripetuto al mondo, con l’appoggio anche dell’intelligence Usa, che lo Shifa nasconde una struttura ampia, forse a più livelli e collegata ad ogni punto di Gaza per mezzo di una ragnatela di gallerie che permette ad Hamas di organizzare i suoi piani di attacco contro Israele. «Non c’è posto a Gaza che non possiamo raggiungere. Non ci sono nascondigli. Non c’è rifugio per gli assassini di Hamas. Elimineremo Hamas e riporteremo indietro i nostri ostaggi», ha commentato il primo ministro Netanyahu.
Fino a ieri sera però queste imponenti «infrastrutture terroristiche» non erano ancora emerse, almeno non nelle proporzioni ipotizzate da esercito e governo. Parlando alla Cnn, un portavoce militare, Richard Hecht, senza fornire alcuna prova visiva, ha affermato «che c’è una sostanziale struttura di Hamas nella zona, nelle vicinanze dell’ospedale. Potenzialmente sotto l’ospedale, ed è qualcosa su cui stiamo lavorando. Ci vorrà tempo. Questa guerra è una guerra complessa». Hamas da parte sua ha negato che ci fossero sue armi allo Shifa. Nessuna traccia dei 239 ostaggi israeliani e stranieri presi da Hamas nel sud di Israele il 7 ottobre quando la loro presenza nel seminterrato dello Shifa veniva data per molto probabile.
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In precedenza, i comandi israeliani avevano descritto il raid nell’ospedale come una «operazione mirata», localizzata solo in una parte della struttura sanitaria, quella occidentale, che non avrebbe coinvolto in alcun modo pazienti, medici e civili. Hanno detto che soltanto all’esterno dell’ospedale c’era stato uno scambio a fuoco in cui sarebbero rimasti uccisi cinque militanti di Hamas. E hanno diffuso foto di medicine, aiuti umanitari e incubatrici portate dai militari all’ospedale. Insomma, una «missione umanitaria» che è stata raccontata in modo ben diverso dai palestinesi. Testimoni citati dalle agenzie di stampa e dalla tv Al Jazeera, se all’inizio hanno riferito di una situazione relativamente calma anche se tesa mentre le truppe israeliane si spostavano tra gli edifici effettuando perquisizioni, in seguito hanno detto di aver sentito spari ed esplosioni. Il dottor Ahmed El Mohallalati, un chirurgo, ha raccontato alla Reuters di scontri a fuoco e di «un carro armato entrato nell’ospedale dal cancello principale che ha parcheggiato davanti al pronto soccorso». Gli israeliani, ha aggiunto, avevano «tutti i tipi di armi». Il dottor Mustafa Barghouti, un medico e noto esponente della società civile palestinese, citando testimoni, ha scritto su X che i soldati hanno distrutto un macchinario per la tac e «trasformato lo Shifa Hospital in un centro di detenzione per l’interrogatorio del personale medico, dei feriti e delle persone rifugiate nell’ospedale».
Altri medici ed infermieri hanno riferito di colpi di avvertimento sparati in aria dai soldati mentre si spostavano correndo da un reparto all’altro. Un testimone ha detto alla Bbc che, ad un certo punto, i militari hanno intimato a tutti gli uomini di età compresa tra 16 e 40 anni di recarsi nel cortile dell’ospedale dove avevano installato un dispositivo di scansione; quindi, hanno chiesto a tutti di attraversarlo. E avrebbero anche dissotterrato i cadaveri seppelliti nelle ore precedenti in una fossa comune, accanto allo Shifa, allo scopo di accertare la presenza di ostaggi morti. A sera, ha riferito un giornalista di Gaza, i soldati sono usciti dall’ospedale e si sono ridispiegati nelle immediate vicinanze dello Shifa rimasto senza luce, senza carburante, con scarso cibo o acqua per i pazienti e la gente ammassata nei corridoi e il fetore di cadaveri in decomposizione che riempie l’aria. Nella trappola dello Shifa sono rimasti anche i circa 40 neonati prematuri, fuori dalle incubatrici spente per la mancanza di elettricità, che l’esercito di Israele qualche giorno fa aveva assicurato di poter far evacuare in sicurezza.
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Una goccia nel mare dei bisogni rappresentano le migliaia di litri di gasolio che Israele, 40 giorni dopo l’inizio della guerra, ha fatto entrare ieri a Gaza per permettere il rifornimento degli autocarri dell’Unrwa (Onu) che portano gli aiuti agli sfollati palestinesi nel sud della Striscia. Sfollati che affrontano un nuovo pericolo. Ieri l’esercito israeliano ha intimato ai civili nei sobborghi orientali di Khan Yunis di lasciare le loro case e di «andare nei rifugi» (inesistenti a Gaza) perché le forze armate israeliane lanceranno operazioni di terra contro Hamas anche nel sud della Striscia. A nord invece, l’ospedale Al Awda ha ricominciato ad accettare nuovi pazienti malgrado la scarsità di tutto ciò che serve per lavorare. Una speranza in un’area che, si leggeva ieri su siti israeliani, non sarà ripopolata per mesi forse per anni. Ieri sera la notizia di un altro massacro di civili. Un raid aereo sulla Torre Al Salhi nel campo profughi di Nusseirat ha causato la morte di almeno 15 persone.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto