«Chiediamo che sia inviata qui allo Shifa una commissione di esperti per verificare, con ispezioni approfondite, queste affermazioni israeliane», ha proposto nei giorni scorsi. Niente da fare. I mezzi corazzati sono lì, e tra poche ore o pochi giorni potrebbero scattare incursioni di unità speciali israeliane nel complesso ospedaliero, dove sono ricoverati 5mila pazienti. Ieri mattina c’è già stato un attacco aereo nel cortile dello Shifa che ha fatto un morto e diversi feriti. La paura si è trasformata in panico sotto i tendoni montati a protezione delle decine di migliaia di sfollati che nell’ultimo mese hanno trovato dentro e intorno allo Shifa una protezione dei bombardamenti. Adesso molti scappano via, non sanno dove andare ma si allontanano.
«Cari colleghi, la situazione allo Shifa ora è estremamente pericolosa. Vorremmo andarcene, ma non possiamo! Vi preghiamo di fare tutto il possibile attraverso il vostro governo o la Croce Rossa per organizzare un corridoio sicuro», ha scritto ieri un gruppo di medici dello Shifa ai colleghi del Pcrf, una ong internazionale che per l’assistenza medica specializzata ai bambini palestinesi ammalati. Nessuno però è in grado di aiutarli, ormai sono prigionieri nell’ospedale.
La sezione italiana del Pcrf è impegnata da anni con missioni volontarie a Gaza. Anche al Rantisi, ospedale oncologico che sta vivendo le stesse ore drammatiche dello Shifa e dell’ospedale Al Awda, nel nord della Striscia. Il Rantisi ha una importanza fondamentale per i bambini palestinesi. Al terzo piano, il Pcrf nel 2019 ha inaugurato il primo e unico dipartimento di oncologia pediatrica di Gaza che eroga cure gratuite e rappresenta un’opportunità unica per i bambini di Gaza malati di cancro di non doversi recare fuori per ricevere le cure necessarie.
«Curarsi fuori dalla Striscia richiede l’autorizzazione di Israele che molte volte non la concede» ci dice il dottor Stefano Luisi, cardiochirurgo pediatra che da oltre 15 anni, con team di medici ed infermieri italiani, compie missioni volontarie per il Pcrf a Gaza. «Il dipartimento di oncologia pediatrica all’ospedale Rantisi – spiega – offre l’opportunità ai bimbi di Gaza di accedere a servizi sanitari necessari in un ambiente protetto, vicino ai familiari, gratuitamente». Dalla sua apertura, sono stati centinaia i bambini palestinesi curati al Rantisi. «Purtroppo – prosegue Luisi – lo scorso 5 novembre questo reparto è stato gravemente danneggiato dai bombardamenti israeliani. Ci sono stati morti tra bambini, familiari, personale sanitario e sfollati». Secondo Luisi l’evacuazione è impossibile nelle circostanze attuali. Spostare i piccoli pazienti oncologici, molto vulnerabili, equivale a condannarli a morte.
Ma è tutto l’ospedale a rischiare la distruzione in caso di un attacco di forze israeliane alla ricerca di basi di Hamas. Colpi hanno raggiunto ieri anche gli ospedali Al Awda, Al Nasser e la terapia intensiva dell’Al Quds, facendo almeno un morto e diversi feriti. La portavoce dell’Oms, Margaret Harris, ha confermato bombardamenti sullo Shifa e sul Rantisi. Venti ospedali di Gaza inoltre non sono più operativi per mancanza di materiale sanitario e di elettricità. Mentre in Israele prevale l’idea di portare a termine in ogni caso, senza esitazioni, l’offensiva che ha devastato Gaza, l’associazione «Medici israeliani per i diritti umani» ha detto che gli ospedali non vanno toccati e devono essere protetti, anche se sotto e intorno a loro dovessero esserci delle basi o delle gallerie usate da Hamas.
Continua ad aggravarsi l’emergenza umanitaria causata dai bombardamenti e dallo sfollamento di centinaia di migliaia di palestinesi dal nord verso il sud di Gaza. All’orizzonte non c’è la tregua permanente, che anche Washington non vuole, e ci sono solo tracce vaghe delle «pause umanitarie» su base quotidiana di alcune ore che Joe Biden dice di aver strappato al premier israeliano Netanyahu. Il portavoce dell’ufficio umanitario dell’Onu, Jens Laerke ha confermato che nessun aiuto potrà raggiungere il nord di Gaza. «Al momento – ha detto – non possiamo guidare verso nord, il che è profondamente frustrante perché sappiamo che ci sono diverse centinaia di migliaia di persone che rimangono lì. Se oggi c’è un inferno sulla terra, il suo nome è Gaza settentrionale».
Israele non ha commentato, ripete di non prendere di mira i civili e farebbe di tutto per evitare di colpirli mentre sganciava 16mila bombe e missili «Mentre il mondo vede quartieri con scuole, ospedali, gruppi scout, parchi giochi per bambini e moschee, Hamas vede solo opportunità da sfruttare», afferma il portavoce militare. Ma a morire sono i civili. Ieri ci riferivano da Gaza city di altri 50 morti in un attacco aereo che ha coinvolto la scuola «Al Buraq» nel quartiere Nasser. In totale, secondo il ministero della sanità, i palestinesi uccisi sono 11.208: 11.025 a Gaza e 183 in Cisgiordania, territorio dimenticato dai media ma dove ogni giorno si registrano incursioni militari con vittime.
Le sirene hanno suonato a Tel Aviv e nelle aree circostanti per il lancio di razzi da Gaza. Due donne hanno subito ferite da schegge. Israele afferma di aver ucciso «migliaia di terroristi di Hamas», gli ultimi 150 in un combattimento nel campo profughi di Shate, sulla costa. Sono 36 i soldati israeliani morti in combattimento dal 21 ottobre, quando è cominciata l’offensiva di terra. Netanyahu intanto smentisce che Israele sia intenzionato a rioccupare in modo permanente Gaza. Allo stesso tempo ha confermato che resterà con le sue truppe nella Striscia per un periodo e si riserva il diritto di colpire in futuro Gaza per mettere fine alle «minacce alla sicurezza del paese».
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto