Ue contro Facebook, la battaglia della privacy

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“Rimuovere il mio profilo da Facebook? à‰ stata un’esperienza kafkiana”, dice Seam Mc Tiernan, ventenne critico d’arte dublinese che ha cercato di abbandonare il social network, scoprendo che Facebook non aveva alcuna intenzione di lasciarlo andare.

È raro che un giovane riesca a ignorare l’attrazione magnetica di Facebook, e probabilmente lo è molto di più per chi lavora in un settore in cui i social media sono diventati dominanti. McTiernan, però, a un tratto si è sentito semplicemente spossato dalle “condivisioni” con i suoi amici online. Sapeva che rimuovere il proprio profilo non sarebbe stato facile (che ne sarebbe stato dopo della sua vita sociale?), ma si era preparato a cancellarsi dalla comunità  virtuale. “Alla fine ho trovato un programma con cui ho cancellato ogni singolo commento che avevo fatto, uno dopo l’altro, e così pure ogni foto caricata e ogni post nel mio profilo”.

Ma neppure questo è bastato a convincerlo che non avrebbe lasciato traccia in rete: “Ho riattivato il mio profilo e l’ho lasciato in bianco, senza immagini, post, amici. Così è molto più sicuro”. In questo modo, seguendo il suo ragionamento, si può essere sicuri di non essere più su Facebook pur continuando a mantenere una presenza ombra.

Se l’Unione Europea la spunterà , chi vorrà  scomparire dalla rete potrà  farlo più agevolmente di McTiernan. L’Ue vuole dare agli utenti di Internet quello che i francesi chiamano “droit à  l’oubli”, letteralmente “diritto all’oblio”. La commissaria alla giustizia Viviane Reding sta facendo pressione per avere maggiori garanzie della privacy nel tentativo di dare agli utenti più controllo sui dati personali raccolti, archiviati, estrapolati e teoricamente vendibili da società  come Facebook, Google o qualsiasi altro dei numerosi siti nei quali gli utenti possono caricare le loro foto, fornire informazioni private e scrivere qualcosa che li potrebbe mettere in imbarazzo.

Le nuove normative, che dovrebbero entrare in vigore alla fine di quest’anno, collocano l’Ue all’avanguardia della privacy digitale e potrebbero influenzare altri paesi, dato che l’argomento è sempre più scottante e controverso. La posizione dell’Ue potrebbe avere effetti non indifferenti su società  come Facebook, che hanno milioni di utenti in Europa. (Facebook ha rifiutato di concedere un’intervista sull’argomento).

“Se da un lato i social network e i siti  di condivisione hanno apportato cambiamenti notevoli al nostro modo di vivere, dall’altro le nuove tecnologie pongono nuove sfide”, ha detto Reding a febbraio. “Oggi è sempre più difficile scoprire se i nostri dati personali sono stati raccolti. Tutti devono avere il diritto, e non solo la possibilità , di ritirare il consenso all’elaborazione dei propri dati personali. L’onere dovrebbe spettare a chi controlla le informazioni personali”.

Il portavoce di Reding, Matthew Newman, dice che il diritto a essere dimenticati è semplicemente la modernizzazione di una legge già  esistente: “Di fatto esiste già , nel senso che chi vive nell’Ue ha il pieno controllo dei propri dati, ma il ruolo di internet non è abbastanza considerato. Quindici anni fa i social media non esistevano”. Con l’adeguamento legale le aziende saranno costrette a dimostrare di avere l’effettiva necessità  di raccogliere le informazioni che chiedono, e a consentire agli utenti di rimuovere ogni traccia di sé. “ Se ci si iscrive a Twitter o a Facebook si dà  il proprio consenso a condividere i propri dati personali, anche se probabilmente non si leggono i termini e le condizioni  del servizio. Cancellarsi dovrebbe essere facile, e soprattutto dovrebbe avvenire davvero”.

Libertà  o tutela?

Con 643 milioni di utenti in tutto il mondo, negli ultimi anni Facebook è stato criticato dai sostenitori della privacy online perché non è possibile solo cancellare il proprio account, ma solo disattivarlo. Se in alcuni ambienti la decisione europea giungerà  gradita, dalle società  tecnologiche americane e da alcuni sostenitori dei diritti umani che mettono la libertà  di espressione davanti al diritto alla privacy pioveranno sicuramente critiche. L’esperto di privacy di Google ha scritto sul suo blog che la decisione dell’Ue è “foggy thinking” (pensiero confuso) e ha dichiarato che “la privacy è l’odierna riga nera della censura”.

“Le preoccupazioni maggiori sono per quei giovani che senza pensarci troppo postano foto imbarazzanti, che nel futuro potrebbero danneggiarli”, dice Gavin Phillipson, professore di diritto alla Durham University. Il problema è comune in tutto il mondo, e la tipica reazione statunitense è incoraggiare la responsabilità  degli utenti. In Europa la risposta più comune è invece penalizzare le società  che lavorano con i dati personali.

Lilian Edwards, professoressa di diritto all’università  di Glasgow e sostenitrice delle libertà  civili, non critica la decisione dell’Ue: “In un primo tempo l’ho trovata un’idea molto allettante, ma in seguito mi sono accorta che comportava alcuni problemi. Il primo è di natura tecnica: su internet le informazioni tendono a propagarsi e a essere  condivise. Da un punto di vista legale ed etico, invece, il problema è che la difesa della mia privacy entra in conflitto con il diritto altrui alla libertà  di espressione. Se io scrivessi sul mio blog ‘John l’altra sera era ubriaco’, scrivo qualcosa di personale che riguarda John, ma esercito il mio diritto a esprimermi liberalmente”. (traduzione di Anna Bissanti)


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