La strage di Hamas nel kibbutz, a Gaza distrutti interi quartieri
Kfar Aza, Beeri, Saad. Gli abitanti raccontano le stragi di sabato scorso. A Gaza la popolazione è in trappola, sotto incessanti bombardamenti israeliani. Il bilancio dei morti continua a salire
GERUSALEMME. Naama Rotenberg, un assistente sociale, vive dal 2009 a Saad un kibbutz religioso ad appena 4 km da Gaza e adiacente a un altro kibbutz, Kfar Aza, un po’ più grande. Ieri raccontava ai giornalisti di sabato 7 ottobre, un giorno che difficilmente si dimenticherà. «Siamo stati svegliati dal suono delle esplosioni e dalle sirene di allarme rosso. Mio marito ed io siamo entrati nel rifugio con i nostri quattro figli e un altro amico». In quei momenti, non lo sapeva, centinaia di palestinesi armati si stavano riversando in Israele da Gaza via terra, mare e aria. E migliaia di missili correvano nel cielo verso sud. «A un certo punto ci siamo resi conto che stava succedendo qualcosa di veramente grosso, gli addetti alla sicurezza ci hanno detto di rimanere nel rifugio. Ci siamo rimasti per tutto il giorno».
Poi sono cominciati ad arrivare i giovani scampati dalla morte al raduno musicale di Reim dove, all’improvviso, era cominciato un fuoco di armi automatiche indiscriminato da parte di uomini arrivati con le moto. «Li abbiamo accolti, erano sconvolti, terrorizzati». I morti sono stati 260 a Reim. I miliziani negli stessi minuti si rendevano responsabili di altre uccisioni indiscriminate a Kfar Aza. Un generale dell’esercito Itai Veruv ieri ha raccontato a un gruppo di reporter stranieri il «massacro» di «bambini, madri e padri…nelle loro camere da letto» compiuto dagli uomini di Hamas. Non avrebbero però decapitato «alcuni bambini» come è stato riportato da alcuni quotidiani italiani. Un giornalista che ha partecipato al tour ha detto che, a una domanda specifica, i responsabili del kibbutz hanno risposto di «non poter confermare la notizia». Anche gli inviati di New York Times, Guardian, Washington Post e l’agenzia Reuters non hanno riferito di bambini ai quali sarebbe stata tagliata la testa. Fa eccezione la Cnn che parla di decapitazioni di persone.
La tensione si percepisce forte girando a piedi per Gerusalemme. Con i quartieri ebraici con i negozi in buona parte chiusi, poca gente in strada e traffico scarso. E la zona Est, palestinese, un po’ più viva dove girano numerose le jeep della guardia di frontiera e le auto della polizia. La frattura tra le due Gerusalemme non è mai stata così ampia come in questi giorni. L’atmosfera avvelenata ricorda quella dell’inizio della seconda Intifada, nell’autunno del 2000. Nissim gestisce un h24 in Baqa. «Adesso ci vuole la forza militare contro Hamas, dobbiamo colpire quella gente (i palestinesi), avete visto cosa hanno fatto a tante persone, hanno perfino sequestrato una anziana di 80 anni. E voi europei sempre pronti a difendere e dare soldi ai palestinesi» ci dice.
Invece per Farid, che abita ad a-Thuri, «sono finiti i tempi in cui noi subivamo e basta. Non mi sono piaciute quelle uccisioni (fatte da Hamas) ma Israele non fa lo stesso con noi da sempre? Guarda cosa accade a Gaza, gli israeliani uccidono donne e bambini». Anche lui coglie l’occasione per rimproverare gli occidentali perché «pronti a sostenere Israele anche quando bombarda e uccide innocenti».
Questa è la guerra delle parole. Quella vera è a sud. A Gaza ormai è un bagno di sangue, i bombardamenti aerei israeliani non conoscono soste, non danno tregua ai civili palestinesi. Le immagini che arrivano dalla Striscia sono drammatiche. Esplosioni causate da bombe e missili polverizzano edifici di molti piani in pochi secondi. Interi rioni sono cumuli di macerie, ricordano il paesaggio lunare fatto di detriti e macerie che nell’estate del 2006 prese il posto di Hart Harek, il quartiere alla periferia meridionale di Beirut bombardato per giorni dall’aviazione israeliana durante la guerra con Hezbollah.
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«Non sappiamo dove scappare, dove trovare riparo dalle bombe. Non abbiamo i rifugi. In passato, quando gli israeliani ci bombardavano, sapevamo in quali zone sentirci al sicuro. Ora no. Le bombe cadono ovunque, anche a Rimal sul lungomare, non risparmiano nessuno, adulti e bambini. Ci colpiscono dappertutto, senza pietà», ci raccontava ieri Safwat, un reporter. Proprio l’informazione paga un tributo alto. Le vittime tra i giornalisti da sabato scorso sono otto. L’ultima è Salam Mima, uccisa da una bomba assieme al marito e i suoi tre figli piccoli Hadi, Ali e Sham. Il bilancio di palestinesi uccisi, in gran parte civili dicono fonti di Gaza, sale senza sosta. Ieri era a 849, vicino a 900 il numero di israeliani uccisi sabato dall’attacco di Hamas. Aumentano anche gli sfollati. Sono quasi duecentomila. Sono ospitati in parte nelle scuole dell’Onu. Tante famiglie sanno di aver perduto la casa e ogni bene come tante volte in passato a causa delle offensive militari israeliane.
Un ex colonnello dell’artiglieria israeliana Kobi Faigembaum, ha spiegato a una radio europea che la strategia del blocco totale di Gaza è condivisa ai vertici politici e militari e resterà la base delle decisioni che saranno prese in futuro per spingere Hamas a liberare i 130 israeliani che tiene in ostaggio a Gaza. «Niente acqua, niente carburante, niente elettricità e molto altro. Quando a Gaza (i 2 milioni di abitanti, ndr) non avranno più queste cose quelli di Hamas dovranno consegnare gli ostaggi» ha sostenuto il militare prevedendo che i comandi militari sceglieranno di non lanciare l’offensiva di terra contro Gaza di cui si parla da quattro giorni.
Le parole di Faigembaum hanno trovato una conferma parziale nel bombardamento aereo a ridosso del valico egiziano di Rafah, l’unica porta dei palestinesi di Gaza verso il mondo arabo. Israele avrebbe anche ammonito i vertici egiziani dall’inviare altri aiuti umanitari ai palestinesi. L’Oms da parte sua vuole l’apertura immediata di un corridoio umanitario per aiutare i civili e garantire i rifornimenti di farmaci alle strutture sanitarie.
Il territorio intorno a Gaza è tornato, almeno così si è appreso, sotto il controllo completo delle forze israeliane. Ma Hamas se non ha più suoi uomini all’interno di Israele, vuole mostrare che ha ancora la capacità di colpire in profondità. Ieri alle 17, come avevano annunciato, le Brigate Al-Qassam, braccio armato del movimento islamista, hanno lanciato una raffica di razzi sulla città di Ashkelon in quella che hanno chiamato lo «Spostamento dopo spostamento», ossia lo sfollamento della popolazione di Ashkelon in risposta a quello dei civili palestinesi a Gaza.
Abu Obaida, il portavoce di Hamas, ha avvertito che le Brigate al Qassam sono in grado di provocare lo sfollamento di molte città israeliane. Razzi sono piovuti ieri su numerosi centri abitati adiacenti a Gaza e fino alla periferia di Tel Aviv. Un dirigente di Hamas, Ali Baraka, ieri ha raccontato all’agenzia di stampa AP che solo un piccolo numero di leader a Gaza era a conoscenza dell’attacco del 7 ottobre e ha negato che funzionari iraniani avrebbero dato il via libera alla sua attuazione in un incontro la scorsa settimana a Beirut. Ha parlato inoltre di 2000 combattenti entrati in Israele sabato scorso. Israele sostiene di averne uccisi circa 1500.
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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