Golfo, parole di fuoco
Il piccolo gruppo si è staccato da un corteo più grande, che sfilava per la strade della capitale iraniana, per protestare contro l’intervento militare saudita in Bahrein. La tensione sale tra Teheran e Riad e il piccolo Bahrein pare il terreno di scontro ideale – e per ora solo virtuale – delle due grandi potenze regionali.
Un esempio della tensione strisciante? Un deputato iraniano, Ruhollah Hosseinian, ha affermato ieri che Teheran dovrebbe ”mettere in stato d’allerta le sue truppe per impedire che l’Arabia Saudita si avvicini ai suoi confini”. Mica poco. L’idea, per Teheran, è che sia inaccettabile l’intervento dei 1500 militari sauditi in Bahrein, dove la monarchia è messa alle corde dalla rivolta degli sciiti. Che, nella piccola monarchia del Golfo, rappresentano il settanta percento della popolazione.
Secondo la famiglia al-Khalifa, padrona del Bahrein, la minoranza sciita ha iniziato a combattere il potere costituito e a chiedere più spazio nella società solo quando il governo iraniano ha fornito soldi e sostegno politico, addirittura armi. I sauditi, con gli Emirati Arabi Uniti e il Kuwait, sono concordi nell’accusare Teheran di questo ‘internazionalismo sciita’, che preoccupa le monarchie sunnite del Golfo molto più di fattori esterni, come rivelato anche da una seri di dispacci resi pubblici da WikiLeaks in passato.
Dei paesi che compongono il Consiglio di Cooperazione del Golfo, organismo nato negli anni Ottanta in funzione di cordone sanitario dopo la rivoluzione iraniana, solo il Qatar si tiene fuori dal coro. Il Qatar, e il suo braccio mediatico al-Jazeera, avendo benedetto tutte le rivoluzioni e sono in imbarazzo sul Bahrein. Come in imbarazzo dovrebbero essere Onu, Nato, Usa e Ue, prontissime a correre in aiuto del petrolio libico ma indifferenti al massacro degli sciiti in Bahrein.
Gli altri, però, sauditi in testa, accusano l’Iran di fomentare una lotta interconfessionale. Stessa cosa che dicono gli iraniani e a Damasco, dall’inizio della rivolta in Siria, girano voci su un sostegno saudita agli insorti. La famiglia Assad, al potere in uno stato sunnita come la Siria, è di confessione alevita, molto legata agli sciiti. Una lotta senza esclusione di colpi.
I toni, del resto, sono infuocati. ”La famiglia Saud è un tumore maligno come Israele e non vi è differenza tra i crimini commessi dalle truppe saudite in Bahrein con quelli dei soldati sionisti in Palestina”. Lo ha detto Ahmad Alam-ol-Hoda, guida della preghiera del venerdì della città santa sciita di Mashhad. Dalle parole ai fatti c’è una distanza che nessuno, in questo periodo, riesce a calcolare.
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