Rapporto INPS: gli operai vivono cinque anni di meno dei manager
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Il 22esimo rapporto annuale dell’Inps: per gli uomini reddito da pensione superiore del 36% rispetto alle donne; Con il cuneo contributivo retribuzioni più alte di 100 euro lordi. Camusso (Pd): «Se l’istituto ha lavorato così bene perché è stato commissariato?»
Secondo il 22esimo rapporto annuale dell’Inps presentato ieri dalla Commissaria, Micaela Gelera, a Montecitorio in Italia ci sarebbero 871.800 mila «lavoratori poveri». Il numero più alto è tra i dipendenti part time che superano il mezzo milione, mentre gli oltre 350mila lavoratori poveri a full time, rientrano sostanzialmente in due tipologie contrattuali specifiche, cioè apprendistato e intermittente.
Tra questi, oltre 20 mila sono lavoratori full time che guadagnano meno di 1000 euro al mese, pur avendo un contratto firmato dalle maggiori organizzazioni sindacali. Si tratta di partite Iva attivate in alternativa all’impiego come dipendente; stagisti, praticanti e altri lavoratori implicati in rapporti simili di fatto a quelli «normali» del lavoro dipendente, ma concretamente diversi. Parliamo di posizioni di lavoro autonomo occasionale o parasubordinato, lavoro nero, integrale o associato a posizioni parzialmente irregolari.
Per l’Inps tuttavia non è possibile precisare ulteriormente, a questo livello di indagine, quanta parte della povertà del lavoro di queste persone sia attribuibile« a una bassa intensità di impiego» (part time di poche ore) e quanta, invece, «a livelli salariali orari insoddisfacenti» . Questa incertezza La loro «povertà» non sarebbe dovuto principalmente dal salario orario basso, ma dalla precarietà contrattuale che li porterebbe a lavorare in maniera intermittente per pochi giorni o pochi mesi all’anno.
Capitolo pensioni. Sono circa 16,1 milioni i pensionati e quasi 322 miliardi di spesa per 20,8 milioni di prestazioni con un divario marcato negli importi degli assegni tra uomini e donne. Il rapporto Inps segnala che gli uomini pur essendo circa il 48% dei pensionati concentrano il 56% della spesa, ovvero 180,4 miliardi contro i 141,5 erogati alle donne. Per gli uomini l’importo annuale medio del reddito da pensione è di circa 23.182 euro, per il 36% circa superiore a quello delle donne (16.994). Le donne riscuotono circa 515 euro al mese in meno degli uomini (considerando l’importo diviso per 12 mesi), ovvero circa il 26,67% in meno. Il dato è legato al fatto che le donne hanno carriere contributive più corte e spesso assenti. Anche per questo le donne vanno ormai in pensione a un’età media più alta di quella degli uomini che utilizzano invece largamente il canale dell’uscita anticipata.
L’inflazione ha falcidiato i redditi dei pensionati non potendo questi agire sull’offerta di lavoro. I primi due quintili di reddito delle famiglie di pensionati hanno perso tra il 2018 e il 2022 il 10,6% del reddito reale. «Dati che dimostrano ancora una volta che è indispensabile intervenire per tutelare maggiormente la previdenza delle donne» ha commentato Ignazio Ganga (Cisl).
Con le attuali regole sul pensionamento, avverte l’Inps, la speranza di vita a 67 anni per gli operai è di quasi cinque anni inferiore a quella dei dirigenti (16 contro 20,9). Il coefficiente di trasformazione uguale per tutti consegna una pensione ai meno abbienti più bassa di quella che avrebbero avuto considerando la loro reale aspettativa di vita. «Viceversa, i più abbienti ottengono pensioni più elevate di quelle che risulterebbero da tassi che tengono conto della effettiva durata media della loro vita».
«Una relazione tesa a sostenere le scelte e la narrazione del governo, più che a costruire delle descrizioni vere – ha commentato l’ex segretaria della Cgil Susanna Camusso (Pd) – In realtà l’unica notizia che c’è stata data oggi è che l’Inps aveva lavorato bene. Perché è stata commissariata?».
* Fonte/autore: Mario Pierro, il manifesto
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