Per la destra cilena solo un errore il golpe del 1973

Per la destra cilena solo un errore il golpe del 1973

Loading

Gli orrori della dittatura? Solo «errori», peraltro «commessi da tutti i settori». Questa la lettura del golpe della coalizione di destra Chile Vamos

 

Gli orrori della dittatura? Solo «errori», peraltro «commessi da tutti i settori». Questa la lettura del golpe della coalizione di destra Chile Vamos, la quale, respingendo l’invito del presidente Boric a sottoscrivere una dichiarazione congiunta in difesa della democrazia ha voluto diffonderne una per conto suo. Nel rispetto, almeno a parole, dello stato di diritto, della Costituzione e dei diritti umani, ma senza una sola parola di condanna del golpe e declassando la tragedia della dittatura a «una profonda frattura sociale e politica».

Una dichiarazione trasversale, tuttavia, c’è stata e a firmarla sono stati Boric e i quattro ex presidenti ancora in vita: Eduardo Frei Ruiz-Tagle, Ricardo Lagos, Michelle Bachelet e Sebastián Piñera (quest’ultimo in controtendenza rispetto alla destra), i quali, nel documento dal titolo «Compromiso: Por la Democracia, siempre», prendono le distanze, «al di là delle loro differenze legittime», dalla «rottura violenta della democrazia in Cile che è costata la vita, la dignità e la libertà a tante persone, cilene e di altri paesi».

Invitando a difendere la democrazia e lo stato di diritto, i cinque presidenti si impegnano a «proteggere tali principi di civiltà dalle minacce autoritarie e dall’intolleranza», ad affrontare «le sfide della democrazia con più democrazia» – espressione quest’ultima molto cara a Boric – e a «fare della promozione dei diritti umani, al di là di ogni ideologia, un valore condiviso dall’intera comunità politica e sociale».

* Fonte/autore: Claudia Fanti, il manifesto



Related Articles

Ungheria: dopo il muro, migranti nei container

Loading

Sembra non avere fine l’ossessione xenofoba di Viktor Orban, tanto che non c’è praticamente settimana che passi senza che dall’Ungheria

Xi e la prima rivoluzione Abolito il «regno dei treni»

Loading

PECHINO — Con due milioni e centomila dipendenti, capitali finora illimitati, una sua forza di polizia e 98 mila chilometri di binari da gestire il ministero delle Ferrovie cinese era considerato «uno Stato dentro lo Stato». Questo sistema di potere da oggi non esiste più: il governo di Pechino ha deciso di abbatterlo e smembrarlo. La parte amministrativa passa sotto il dicastero dei Trasporti e quella operativa viene assegnata a una nuova società .

Gli Usa, i radar di Niscemi e il passaggio a Tunisi

Loading

Se la Sicilia dice no, Washington punterà sul Maghreb, dove cresce anche l’allarme per i jihadisti

No comments

Write a comment
No Comments Yet! You can be first to comment this post!

Write a Comment