Verso la COP28. Greenwashing, foreste in vendita
Dopo Tanzania, Zimbabwe e Zambia, la Blue Carbon vicina a impossessarsi del 10% di Liberia. Per la società emiratina un tesoro di carbon credit da cedere: prima di tutto ai suoi proprietari, prossimi ospiti della Cop28
La Liberia potrebbe cedere agli Emirati arabi uniti un milione di ettari di foresta, che il paese del Golfo utilizzerebbe per generare crediti di carbonio da utilizzare o rivendere sul mercato. Si tratta di una maxi-operazione di greenwashing condotta dall’emirato di Dubai, che dal prossimo 30 novembre ospiterà la Conferenza delle Nazioni unite sui cambiamenti climatici Cop28.
L’operazione è emersa quando, a febbraio scorso, alcuni funzionari del governo liberiano hanno fatto trapelare ai media l’esistenza di un memorandum, ancora da firmare, tra il governo liberiano e Blue Carbon, società emiratina specializzata in progetti di decarbonizzazione e di proprietà di Ahmed Dalmook al Maktoum, il membro più giovane della famiglia reale di Dubai. In base al memorandum d’intesa, Monrovia si impegna a dare il controllo di una parte delle sue foreste pluviali per i prossimi trent’anni. Un pezzo di territorio che corrisponde al 10% di quello nazionale.
LA LIBERIA non è l’unico paese africano ricco di foreste con cui Blue Carbon ha firmato, o si appresta a firmare, accordi di questo tipo: la società di Dubai ha siglato memorandum con il governo della Tanzania (otto milioni di ettari, di cui 56mila di mangrovie) e con quello dello Zambia (altri otto milioni di ettari), firmati a febbraio 2023 a distanza di un giorno uno dall’altro.
Anche il governo dello Zimbabwe ha firmato un memorandum con Blue Carbon, poco prima di ferragosto, in virtù del quale vengono concessi 7,5 milioni di ettari di terreno per «ospitare programmi sostenibili nel campo dell’agricoltura, della silvicoltura e di altri usi del territorio».
Appena un mese prima, in Zimbabwe era stato firmato un accordo tra il Carbon Trade Exchange (il sistema globale di scambio delle materie prime ambientali, che consente di scambiare crediti di Co2) e il Victoria Falls Carbon Registry (Vfcr), in occasione del Forum inaugurale del mercato volontario africano dei crediti di carbonio (Avccm): il Vfcr sosterrà una politica di riemissione dei crediti di carbonio per altri progetti africani sotto il suo controllo.
L’obiettivo di questi accordi è «conservare, gestire e registrare le risorse forestali», mettendo poi sul mercato i crediti di carbonio ai sensi dell’articolo 6.2 dell’Accordo di Parigi sul clima, in base al quale si mercanteggia sulle emissioni di carbonio in atmosfera.
IN LIBERIA, il cui governo ha discusso e approvato la concessione senza indire una gara d’appalto, questo accordo sta facendo scalpore e attualmente risulta fermo: il Partito popolare liberiano, all’opposizione, ha chiesto al governo di interrompere i negoziati «fino a quando le comunità interessate non saranno identificate e informate dei potenziali impatti sociali», questione prevista nel memorandum ma solo successivamente alla firma.
Un fatto, questo, che secondo diversi gruppi ambientalisti locali è una violazione del diritto fondiario liberiano, che tutela il rapporto tra le comunità tradizionali e la Terra.
In una dichiarazione, il Meccanismo Indipendente di Coordinamento del Monitoraggio Forestale (Ifmcm, un cartello di sette organizzazioni civili ambientaliste) ricorda che in base alla legge liberiana «rivendicare i diritti legali per commercializzare il carbonio forestale ha implicazioni per i diritti di proprietà, poiché influisce sul diritto delle comunità di determinare come viene utilizzata la loro terra».
E solleva dubbi sui reali vantaggi dell’accordo con Blue Carbon e le numerose condizioni per la compensazione delle emissioni di carbonio: «La foresta della Liberia è una risorsa a beneficio globale che dovrebbe attrarre finanziamenti mondiali per via dei benefici che porterà alla comunità internazionale nel contribuire a mitigare gli effetti delle emissioni globali di carbonio». La legge sui diritti fondiari della Liberia, perfezionata nel 2018, è il risultato di un lavoro durato oltre un decennio e, di fatto, concede alle comunità la proprietà delle terre su cui vivono.
UN DIRITTO, questo, considerato essenziale dalle comunità locali, che in passato hanno combattuto battaglie durate anni contro gli investitori stranieri che su quelle terre volevano sviluppare piantagioni o progetti industriali: «Non esiste una comunità, in Liberia, che sia libera da questi vincoli», ha detto al manifesto Jonathan Yiah, ricercatore del Sustainable Development Institute, organizzazione ambientalista liberiana.
Vero è che in Liberia, come altrove, il problema della deforestazione è un problema reale, che tocca da vicino le comunità tradizionali, cui le foreste rappresentano il principale mezzo di sussistenza: nel 2022, secondo un rapporto di Global Forest Watch, la Liberia ha registrato la più alta perdita di foreste primarie degli ultimi vent’anni. Tuttavia, la compagnia Blue Carbon intende mettere mano su terreni inclusi in riserve naturali già esistenti, già tutelate e già protette, senza fornire alcun vantaggio aggiuntivo, altro passaggio critico dell’accordo in discussione con la Liberia.
La bozza del contratto prevede che la società pagherà alla Liberia una royalty del 10% sui proventi lordi delle vendite di crediti di carbonio e non dovrà effettuare alcun pagamento aggiuntivo finché non avrà recuperato l’investimento iniziale.
Successivamente pagherà al governo liberiano una quota del 30% degli eventuali profitti realizzati dalla vendita dei crediti e sarà inoltre esentata dal pagamento di eventuali imposte per dieci anni. Inoltre, gli stessi Emirati arabi uniti potranno direttamente utilizzare i crediti di carbonio emessi dalle riserve africane di Blue Carbon per compensare le proprie emissioni: il memorandum infatti non specifica se i crediti saranno venduti su mercati volontari o tramite accordi bilaterali.
Questo, oltre a rappresentare un vantaggio industriale ed economico notevole per gli Emirati, è quasi un gioco delle tre carte su scala globale, in cui i crediti di carbonio si mescolano, si nascondono e riemergono laddove non te li aspetti.
LA SOCIETÀ Blue Carbon è stata costituita meno di un anno fa ed è parte del conglomerato Ameri Group, che fa sempre capo al giovane Al Makhtoum, che concentra i suoi investimenti in progetti energetici in Medio Oriente e Africa, compresi alcuni progetti petroliferi e di estrazione di gas.
Le attività di Blue Carbon si sono intensificate con la preparazione per la conferenza sul clima Cop28: il governo degli Emirati arabi ha inserito tra i temi principali della Conferenza sul clima proprio le regole che governano i mercati del carbonio, regole che riguardano anche la tutela ambientale e dei diritti umani.
Attualmente le poche norme che disciplinano il mercato dei crediti volontari (che riguardano le aziende e non prevedono una supervisione da parte di soggetti terzi) sono spesso criticate perché lacunose e poco chiare, ma se osserviamo le norme che disciplinano gli accordi bilaterali queste sono ancor più fumose. È in questo contesto che opera Blue Carbon, società che si occupa del greenwashing di uno tra i più grandi produttori di combustibili fossili al mondo.
* Fonte/autore: Andrea Spinelli Barrile, il manifesto
ph by https://www.pxfuel.com/
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