Un paio di mesi prima un’inchiesta del giornale Ukrainska Pravda aveva accusato il capo del Commissariato militare di Odessa, Yevhen Borisv, di essersi comprato tramite vie illegali una villa da milioni di dollari in Spagna.

Da lì, il licenziamento, l’arresto e parallelamente l’annuncio che un’indagine governativa più ampia aveva condotto all’apertura di 122 casi giudiziari nei confronti di 33 ufficiali, con accuse di corruzione e arricchimento indebito – talvolta ottenuto esonerando uomini dalla leva previo pagamento di tangenti. «Il sistema deve essere gestito da persone che sanno cos’è la guerra e capiscono come mai il cinismo e la corruzione durante un evento di questo tipo costituiscano un tradimento», ha dichiarato Zelensky.

È STATO FIRMATO anche il decreto che estende la legge marziale nel paese fino al 15 novembre. La controffensiva nel Donbass, che per ora non sta generando rapide riconquiste territoriali, pone il problema di rinforzare il funzionamento interno dell’esercito e rinvigorire la fiducia della popolazione nonché degli alleati occidentali in vista di un conflitto che si preannuncia ancora molto lungo.

Se le difese russe si trovano costantemente sotto pressione nelle regioni di Donetsk e Zaporizhzhia, negli ultimi giorni si sono verificati movimenti di segno opposto nella zona nord-orientale di Kupyansk. Qui l’esercito di Putin pare avanzare, forse nel tentativo di catturare una seconda volta la cittadina (occupata nei primi giorni dell’invasione e poi liberata a settembre dell’anno scorso) o magari solo per impegnare le forze avversarie e distoglierle da altri punti sensibili.

Fatto sta che lo scorso 9 agosto l’amministrazione militare della regione ha ordinato di evacuare la popolazione, operazione che dovrebbe coinvolgere più di 11mila persone, inclusi 600 bambini, e che sta procedendo nonostante attacchi di artiglieria praticamente quotidiani. Nel contesto di Kupyansk, inoltre, le forze ucraine devono fare i conti anche con un ambiente che sembrerebbe parzialmente ostile.

Un reportage del The Kyiv Independent di pochi giorni fa raccontava come, secondo l’opinione di decine di militari e poliziotti, nell’area «ci sono molti residenti locali che rimangono filorussi e alcuni di loro sono stati o sono ancora collaboratori delle truppe nemiche».

TRA SVILUPPI sul campo e aggiustamenti interni, in ambito militare è stato annunciato ieri che la brigata Azov è tornata operativa e ha fatto ritorno al fronte nella zona di Kremnina. Nelle medesime ore la Russia ha fatto sapere che due membri della brigata, fatti prigionieri nell’assedio di Mariupol conclusosi la primavera dello scorso anno, sono stati condannati a 24 anni di carcere presso la repubblica separatista di Donetsk.

In mezzo alle prospettive sempre più inconciliabili di Ucraina e Russia ha provato, a sorpresa, a inserirsi Lukashenko: «La guerra si poteva evitare e si può fermare ora», ha affermato il presidente bielorusso in un’intervista, aggiungendo anzi che il suo paese dovrebbe partecipare ai «colloqui di pace». Un’apertura sincera o una minaccia velata? Le premesse da cui parte il leader di Minsk rimangono chiare: «Aiuteremo sempre la Russia. Se non ci fermiamo ora, l’Ucraina come Stato scomparirà».

* Fonte/autore: Francesco Brusa, il manifesto