Pakistan, un inutile massacro

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”E’ la terza volta in due anni – si legge nel documento inviato il 6 aprile al Congresso – che l’esercito pachistano si ritrova a dover condurre grandi offensive per riconquistare questa stessa regione: una chiara prova dell’incapacità  dei militari pachistani e della loro carenza di una chiara strategia controinsurrezionale”.

Come un maggiordomo che, rimproverato dal padrone, cerca subito di dimostrarsi zelante per recuperare la sua stima, i generali di Islamabad, poche ore dopo le critiche statunitensi, hanno ordinato una massiccia offensiva aerea e d’artiglieria contro le basi talebane in Mohmand, nella quale sono rimasti uccise almeno cinquanta persone – tutti ribelli secondo i militari: solo ”due o tre” i civili colpiti per errore.

L’attacco, sferrato tra venerdì e sabato, ha provocato la fuga di centinaia di talebani nelle vicine vallate dello Swat e del Bajaur, dove nel fine settimana si sono scontrati con i militari di Islamabad di stanza in quelle zone: almeno una decina le vittime.

Questo eterno gioco del gatto con il topo, con l’esercito che attacca da una parte e i talebani che scappano dall’altra e colpiscono le città , provoca enormi perdite umane (in media cinquecento morti al mese) senza indebolire minimamente il Movimento talebano pachistano (Ttp), che continua a contare sul suo quartier generale in Nord Waziristan.

Da lì – dove le forze governative non osano mettere piede, nonostante le pressioni di Washington – Hakimullah Mehsud continua a guidare indisturbato i suoi uomini nelle vicine regioni e a inviare kamikaze per colpire le città .

Come accaduto il 3 aprile con l’attentato a Dera Ghazi Khan, nel Punjab, che ha ucciso 50 persone. ”Una reazione alle atrocità  commesse dal governo nelle Aree tribali”, hanno dichiarato i talebani.
Un ”barbaro atto di terrorismo” che dimostra la necessità  della ”lotta del governo pachistano per la creazione di paese pacifico e prospero”.

Negli ultimi sette anni, questa lotta tanto cara agli Stati Uniti ha cancellato almeno 34mila vite in una spirale infinita di attacchi e rappresaglie, sprofondando un paese giù povero in una crisi economica disastrosa dai risvolti sociali e politici imprevedibili.

 


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