“Fiat a giorni salirà  al 30% di Chrysler ma non so se avremo il 51% entro l’anno”

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BALOCCO (VC) – Marchionne torna ad accelerare. La salita al 30 per cento di Chrysler «avverrà  a giorni» (recentemente aveva ipotizzato che potesse avvenire in due mesi). Così come «a giorni» sarà  necessario «risolvere la questione della ex Bertone» perché «le macchine sono disegnate e il mercato non aspetta. Mi auguro che possano essere costruite a Grugliasco (To) altrimenti salta tutto. Le faremo altrove, spero in Italia». Tempi più brevi anche nella road map che porta al 51 per cento di Chrysler. Tutto dipende dalla trattativa con Washington, Ottawa e le banche per il rifinanziamento del debito con i governi e per il prestito necessario ad acquistare il 16 per cento del gruppo di Detroit: «Non so se ce la faremo per la fine dell’anno – premette prudente l’ad – ma dal punto di vista tecnico potremmo anche essere pronti a fine giugno». Oltre ai soldi mancano infatti ancora le condizioni per raggiungere il terzo dei tre gradini che valgono il 5 per cento della Chrysler: la produzione di un’auto ecologica. «Abbiamo già  il modello, credo che riusciremo a soddisfare questa richiesta nell’ultimo trimestre dell’anno». Marchionne parla a Balocco, sulla pista di collaudo che fu dell’Alfa e che oggi serve a lanciare i nuovi modelli della Jeep per l’Europa («Sono modelli bellissimi, puntiamo a venderne 125 mila nel 2014 a livello continentale»). L’ad accelera, accorcia i tempi. Certamente perché ha bisogno di tornare con nuovi prodotti sul mercato. Ma anche perché ha bisogno, in Italia, di una ripartenza. Di ritrovare lo spirito delle origini, del biennio 2004-2007 che va dal rischio di fallimento della Fiat al lancio della nuova 500. In quei due anni la casa di Torino era diventata forte, suscitava simpatia in Italia. Ricorda l’ex numero uno dei marchi, Luca De Meo, nel recente libro autobiografico: «Dopo il lancio della 500 decidemmo con Marchionne di passeggiare per una mezz’ora nel centro di Torino e andare a prendere l’ultimo caffè: i passanti lo applaudivano come fosse una rockstar». La crisi mondiale e lo scontro con i sindacati hanno appannato quell’immagine e oggi c’è chi teme che la principale azienda privata fugga altrove. Come risalire la china? Nei giorni scorsi, parlando all’università  di Bologna, l’ad di Torino è stato esplicito: «Di fronte alla crisi – ha detto – alcuni leader della Fiat, che pure avevano sviluppato l’attitudine a gestire gli imprevisti, non si sono più sentiti forti come un tempo. Qualcuno ha perso fiducia in se stesso. I motivi possono essere diversi: la crisi finanziaria mondiale, l’impegno sulle attività  americane, la scissione del gruppo, la mia lontananza. Stiamo già  da tempo lavorando per ritrovare il livello di leadership che c’era una volta, per farlo rivivere in Fiat». Di quella ripartenza fa parte anche il tentativo di recuperare un rapporto con tutti i sindacati. Compresa la Fiom. Senza venir meno ai principi stabiliti a Pomigliano e Mirafiori: «Non possono esserci due stati nella Fiat», ha detto ieri l’ad a chi gli chiedeva se alla ex Bertone si potesse trovare una mediazione anche con l’ala più radicale del sindacato. Ma il tentativo, nonostante le apparenze, è in corso. E’ il tentativo di trovare un accordo che serva anche a recuperare il largo consenso di cui godeva Marchionne nelle fabbriche. Oggi la mediazione toccherà  ai vertici delle istituzioni torinesi: Cota, Chiamparino e il presidente della Provincia, Antonio Saitta, incontreranno sindacati e consiglio di fabbrica e cercheranno la strada per un accordo unitario che segni la svolta nelle relazioni sindacali in Fiat.


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