Economia di guerra. Europa, i soldi del Pnrr per riarmo e munizioni

Economia di guerra. Europa, i soldi del Pnrr per riarmo e munizioni

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La relazione, che andrà in votazione giovedì a Bruxelles, prevede una montagna di soldi, un assegno in bianco ai governi nazionali, per produrre armi

 

I numeri del Pnnr sono noti, oltre 200 miliardi di euro per rilanciare il Paese modificando il modello di sviluppo a partire dalla transizione ecologica e digitale, inclusione sociale e conoscenza. A questi numeri dobbiamo aggiungere le risorse dei fondi di coesione, 42,7 miliardi di euro l’Italia. 330 miliardi il totale per l’Europa. Tutto questo oggi è a rischio. La relazione, che andrà in votazione giovedì a Bruxelles, della Commissione europea denominata Act to support ammunition production (Asap) per una legge a sostegno della produzione di munizioni afferma che “le risorse assegnate agli Stati membri in regime di gestione concorrente possono essere trasferite allo strumento su richiesta dello Stato membro interessato”.

Tradotto, una montagna di soldi, un assegno in bianco ai governi nazionali, per produrre armi. Non la difesa comune, ma produzione di armamenti in ogni singolo Stato. Soldi provenienti da fondi con i quali le Regioni sostengono il sistema d’impresa, le attività produttive e la ricerca (Fesr), le politiche sociali, le politiche attive per il lavoro e il diritto allo studio (Fse), la transizione ecologica e il green new deal (Just transition fund), la pesca (Feampa), il diritto d’asilo migrazioni e integrazione, la sicurezza interna (Isf), lo strumento per la gestione delle frontiere e dei visti.

Se il Parlamento europeo dovesse votare a favore di questa relazione, i governi nazionali, potranno attingere dai fondi citati per puntare su una vera e propria economia di guerra. Indebolendo il welfare e tutte le politiche attive che sin qui avevano caratterizzato le scelte europee. Una rivoluzione regressiva che rafforzerà enormemente il potere degli Stati nazionali scegliendo un modello di sviluppo fondato sul piombo e che, con l’ambizione progressista e ambientalista di Next generation Ue, non centrerà più nulla.

In questo caso il tema non è si o no alle armi, è si o no a sistemi d’armamento pagati con fondi che erano pensati per migliorare la qualità della vita delle persone. Una clamorosa svolta a destra voluta dai Conservatori della Meloni, dai Popolari di Weber, con lo sguardo interessato dell’apparato industriale militare francese ben rappresentato a Bruxelles dal commissario Breton. Non per nulla la spesa militare globale nel 2022 ha raggiunto la cifra record di 2.200 miliardi di dollari con Stati Uniti, Russia, Francia, Cina e Germania a farla da padroni. E l’Italia sesta nella speciale classifica dei grandi esportatori di armi. Svolta subita e non adeguatamente contrastata dalle forze progressiste che non riescono a reagire all’agenda di guerra.

E la guerra si mangia ogni cosa, la vita della popolazione ucraina, ma anche la possibilità di ragionare delle conseguenze catastrofiche della scelta che si sta per compiere. Un vero e proprio stato di eccezione prolungato che rischia di minare nelle fondamenta la costruzione europea, nata dalla necessità storica, dopo due guerre mondiali e la Shoah, di tenere la guerra fuori dal suolo europeo. Necessità ribadita dai Trattati che impediscono di finanziare le industrie militari nazionali con soldi europei. E che permetterà a chiunque, dopo l’eventuale voto positivo del Parlamento, di fare ricorso alla Corte di Giustizia europea.

Questa corsa forsennata al riarmo generalizzato riguarderà anche Paesi autoritari come Polonia e Ungheria. Una escalation ulteriore, dopo aver assistito, nel silenzio generalizzato, al riarmo della Germania con un piano da 100 miliardi di euro. Ed è prevedibile immaginare la soddisfazione del governo italiano per un voto che sdoganerà definitivamente la riscrittura del Pnnr abbandonando la visione che lo aveva generato. E per le forze politiche italiane che voteranno Si sarà complicato fare polemiche e dare battaglia quando il governo abbandonerà gli obiettivi sul clima e la giustizia sociale che il vecchio Pnrr conteneva.

La guerra voluta da Putin sta cambiando nel profondo la geopolitica globale e, contestualmente, erode i principi cardine della costruzione europea, sempre più al centro di una contesa in cui il dibattito sulla autonomia strategica dell’Unione appare un lontano ricordo.

Il passaggio repentino verso un modello di sviluppo che punta su munizioni, missili e ricerca bellica non è solo un problema di politiche industriali ma investe e trasforma il modello delle relazioni sociali e culturali europeo. Dunque il voto riguarderà anche una certa idea dell’Europa comunitaria. Se passerà la Risoluzione, nel nostro continente, gireranno molte più armi e i nazionalisti saranno ancora più forti. Non proprio la strada giusta per tornare a parlare di negoziati e di pace.

*eurodeputato Gruppo S&D

Fonte/autore: Massimiliano Smeriglio, il manifesto



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