Un litigio permanente
La maggioranza più estesa della storia repubblicana è diventata ostaggio di un pugno di «responsabili» che già annunciano, obliquamente, che domani il governo potrebbe vivere momenti difficili alla Camera sulla prescrizione breve. Le riforme «epocali» , come quella della giustizia, svaporano o si rattrappiscono in provvedimenti ad personam che costringono il Parlamento a ripetute maratone condite da urla e insulti. La benefica «scossa» all’economia, annunciata con solennità quasi due mesi fa, si è arenata nel nulla. Ora è il turno del piano triennale per la «Riforma lavoro» . Si spera che stavolta vada avanti, certificando fattivamente una volontà riformatrice sinora disattesa. Una speranza obbligata, mentre la maggioranza sembra inabissarsi nell’era del litigio permanente. Si litiga con la magistratura, oramai a ritmi spossanti, con le udienze in tribunale che si trasformano nei comizi del lunedì, con le squadre dei fan e degli odiatori che si fronteggiano per strada. Si litiga con l’Europa per gli immigrati: con qualche buona ragione, ma smentita da minacce neo isolazioniste che rischiano di far ripiombare la Lega, e con essa stavolta tutta la maggioranza, in un’eurofobia autolesionista. Si litiga nel Pdl, con le cene correntizie che profilano una condizione di guerra tribale di tutti contro tutti. Scatti di nervi, tentazioni scissionistiche. E il fantasma del «25 luglio» che da reminiscenza storica si trasforma in uno scenario da incubo evocato da uno degli esponenti di punta del berlusconismo come Fabrizio Cicchitto. La rendita assicurata dall’annessione del variopinto manipolo dei «responsabili» si sta esaurendo. Per un attimo, dopo il trionfo parlamentare nel voto di fiducia dello scorso 14 dicembre, si era pensato che la legislatura potesse affrontare la fase finale con un piglio riformatore che era mancato nei mesi precedenti: giustizia, economia, ora il lavoro. Ma nel giro di poche settimane la politica italiana sembra risucchiata nella sua nevrosi chiassosa e inconcludente. Nel frattempo, incombe la crisi economica e finanziaria, e scoppia una guerra a un passo da noi. Ma l’Italia, sottoposta a continui traumi sociali, sembra conservare una sua miracolosa tranquillità e persino l’emergenza dell’immigrazione viene affrontata tutto sommato con calma e freddezza. Il Paese appare solido, la politica in continua fibrillazione. Il contrario del Napoleone raffigurato da Jacques-Louis David, dove il cavaliere tiene con fermezza le redini di un destriero irrequieto e smanioso: qui in Italia è invece il cavaliere — la politica — a dare in escandescenze mentre l’Italia si mostra composta e autocontrollata. Stavolta c’è bisogno di una svolta vera, altrimenti non si vivacchia ma si sprofonda. E le elezioni potrebbero risultare il male minore.
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MA QUEI SOLDI SONO UNA DROGA
Personalmente credo che sarebbe una buona idea, per Pier Luigi Bersani, accettare di restituire quei 45 milioni di cosiddetti “rimborsi elettorali”. E un buon esercizio mentale, per tutti noi, provare a immaginare un drastico taglio dei “costi della politica”: non solo del finanziamento pubblico, ma in generale del flusso di denaro da cui i partiti politici sono diventati dipendenti, come un tossico dipende dalla propria droga.
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