Nuovo monito di Napolitano “No a ritorsioni, l’Europa è una sola”
O il fantasma di un ritorno al passato, il pericolo di un passo indietro verso un assetto di «separazione» e il precipitare dell’Ue dentro il perimetro angusto della sola unione monetaria. Il conflitto in corso sull’emergenza immigrati per Giorgio Napolitano si sta trasformando rapidamente in un allarme per il futuro dell’Europa. Si materializzano gli scenari più preoccupanti in un crinale scivoloso da cui devono allontanarsi tutti i partner, compreso il governo italiano. A Budapest, dove il presidente della Repubblica ha partecipato al summit dei capi di Stato europei, il suo messaggio da questo punto di vista è stato chiaro. Ma le parole pronunciate sabato scorso a Lampedusa da Silvio Berlusconi ancora risuonano nelle sale del Quirinale e nelle Cancellerie continentali. La minaccia di far esplodere il progetto dell’Ue, sebbene non sia stata compresa pienamente da tutti gli alleati, sta comunque agitando il Colle. «Il mio animo – dice a chiare lettere a Repubblica – è per un impegno forte dell’Italia in Europa affinché il nostro Paese continui tenacemente a perseguire una visione comune e elementi di politica comune anche su questo tema dell’immigrazione. Tutto questo senza nemmeno prendere in considerazione posizioni di ritorsione, dispetti, divisione o addirittura separazione». Al Quirinale sono consapevoli che lo scontro in corso sui flussi migratori dall’Africa verso Lampedusa e verso l’Europa sta prendendo una piega non certo positiva. Del resto, proprio nel recente vertice ungherese il capo dello Stato ha potuto constatare le consistenti differenze nell’interpretazione del trattato di Schengen e della natura degli eventi di questi giorni. Difformità esplicitate, ad esempio, dal presidente tedesco Christian Wulff con cui Napolitano ha avuto un colloquio bilaterale. Ma le distanze non sono segnate solo da Berlino. Anche perché il vero pericolo che il presidente della Repubblica ha potuto osservare in questi giorni riguarda l’atteggiamento complessivo dei partner europei, di «tutti» i partner. Italia compresa. I quali, in questa fase, sembrano pesantemente condizionati da un vento populista che impedisce un approccio concreto alla questione immigrazione. Basti poi pensare alle scadenze elettorali che la Cdu di Angela Merkel deve affrontare nei prossimi mesi in Germania o alla pressione che sta esercitando la destra di Marine Le Pen in Francia sulla presidenza di Sarkozy. Senza trascurare il sentiero stretto percorso dal ministro degli Interni italiano Maroni vincolato alle richieste della Lega e incalzato dalla base lumbard. Tutti problemi, dunque, che stanno emergendo con fragore in tutte le riunioni europee. Il capo dello Stato li ha soppesati in prima persona nel summit di Budapest. Ma – è il timore degli uomini del Quirinale – rischiano di essere affrontati in Europa con misure provvedimenti mediocri o miserabili. Anche l’improvvida minaccia del Cavaliere, che fortunatamente non è stata recepita pienamente a Bruxelles, non ha aiutato nella ricerca di misure davvero efficaci. Il ministro degli Esteri Frattini, invece, ne ha colto la dirompente pericolosità . È allarmato e sta cercando di ricomporre una situazione che potrebbe rivelarsi deflagrante. Ma, dicono sul Colle, tutti sono obbligati alla «responsabilità » evitando approcci «miopi e difensivi». Certo, lo stesso Napolitano è consapevole del fatto che le soluzioni giuridiche sono piuttosto complicate e la questione è decisamente «controversa». La possibilità , ad esempio, di assegnare i cosiddetti «permessi temporanei» è legata al verificarsi di eventi gravi. In Tunisia, in effetti, nessuno può negare la presenza di uno shock istituzionale. Ma questo può non essere sufficiente. E i Trattati richiedono, in queste circostanze, la presenza di una maggioranza qualificata. Che al momento non ha ancora preso corpo. Una situazione di cui oggi discuterà a Lussemburgo il ministro degli Interni Maroni. Il quale, però, continua ad essere convinto che la procedura adottata dal governo italiano sia adeguata. E anche la lettera perentoria della commissaria Malmstrom viene bocciata dal titolare del Viminale: «Fanno così perché sanno che abbiamo ragione. Sappiamo anche noi che Schengen non è «automaticamente» operativo e che si devono concretizzare determinati requisiti. Requisiti che verranno esauditi». «Il punto semmai – si è sfogato con i suoi Maroni – è che in questi sei mesi l’Europa dovrebbe trovare il modo per garantire soluzioni efficaci o viene mancare a suoi doveri». Un clima di conflittualità complessiva, dunque, che colpisce il capo dello Stato. Infatti, a Budapest ha sollecitato tutti «a una visione più coesa e coerente, a una maggiore convergenza sul piano istituzionale in Europa». Naturalmente il suo richiamo contiene anche «elementi critici» nei confronti di tutte leadership nazionali, compresa quella di Roma. Si tratta di una critica, spiegano sul Colle, che «mira a una maggiore integrazione» da non confondere con posizioni politiche che «prendono le distanze dal progetto europeo». Per questo, avverte, l’impegno dell’Italia deve essere univoco nel «continuare tenacemente a perseguire una visione comune anche sull’immigrazione». Allontanando senza equivoci lo spettro di un futuro di «ritorsione, dispetti, divisione o addirittura di separazione».
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