La politica fa rotta verso Herat, ma deve seguirla il “Sistema Paese”

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Il programma è cambiato decine di volte: troppo pericoloso qui, troppa gente là , troppi elicotteri da mobilitare, troppi blocchi stradali. Denaro pubblico e rischi privati (dei nostri soldati) saranno necessari anche solo per spostare il gruppone di 5 chilometri da Camp Arena al governatorato. Un investimento che potrebbe essere persino lungimirante, se avesse un obbiettivo. La nostra politica estera risponde ad alleanze internazionali e a fini umanitari, ma è anche sintonizzata sul nostro sistema economico? I bombardamenti alla Libia fanno discutere la maggioranza di governo, lo stesso dovrebbe accadere per questa spedizione di imprenditori. C’è uno scopo realistico? Uno, molto appetitoso, al di là  del protocollo ufficiale di collaborazione economica da firmare a Kabul, ci sarebbe. Il governatore di Herat ha anticipato al Corriere di voler presentare al gruppone tricolore la scoperta fatta appena due mesi fa nella sua provincia: «Il giacimento di litio più grande del mondo, dal valore minimo di 20 miliardi di dollari» . Il litio è ricercatissimo per le batterie ad alte prestazioni e la Cina ne ha il quasi monopolio. Il governo afghano terrà  un’asta internazionale per lo sfruttamento della miniera e, di certo, i 37 soldati italiani uccisi in Afghanistan dal 2001 non giustificano un trattamento di favore. «Ma è chiaro che la vostra presenza militare metterebbe una ditta italiana in prima fila nella scelta» assicura il governatore Daud Shash Sabò. Esiste una società  nostrana all’altezza della sfida? «Siamo un Paese in guerra— insiste il governatore —, chiaro che cerchiamo capitali coraggiosi» . Il «Sistema Paese» tanto evocato batta un colpo. Se si chiede coraggio ai nostri soldati è giusto chiederne anche alle nostre imprese. Oppure la politica ne tragga le debite conseguenze.


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