Contro il sistema della guerra. Mercoledì 22 marzo alla Fondazione Basso

Contro il sistema della guerra. Mercoledì 22 marzo alla Fondazione Basso

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Fondazione Basso, Tribunale Permanente dei Popoli e Associazione Società INformazione/Rapporto Diritti Globali organizzano una iniziativa a Roma mercoledì 22 marzo per discutere di guerra, pace e movimenti

Mettere in ordine i fatti (e gli antefatti)

È un dato obiettivo, e per lo più riconosciuto, che la guerra in corso in Ucraina è stata causata dall’aggressione da parte della Federazione Russa, cominciata il 24 febbraio 2022. Altrettanto innegabile dovrebbe essere il riconoscimento delle responsabilità occidentali nell’aver determinato alcune delle premesse a tale criminale decisione. Per dirla con papa Francesco: «l’abbaiare della NATO alla porta della Russia».

Il riferimento, e l’antefatto, è il progressivo allargamento a Est operato dalla Alleanza atlantica in Europa. Una politica pericolosa e non più giustificata dalla Guerra Fredda, perseguita con determinazione e linearità dagli Stati Uniti dal dissolvimento dell’Unione Sovietica in poi, a dispetto degli impegni assunti all’epoca. A tale scivolosa strategia hanno concorso tutte le Amministrazioni americane: da Bill Clinton che fece entrare nella NATO Polonia, Ungheria e Repubblica Ceca (1999), a George W. Bush e Barack Obama, progressivamente inglobando le Repubbliche baltiche, la Slovacchia, la Romania e la Bulgaria (2004), sino a lasciare come unico “cuscinetto” prima dei confini russi l’Ucraina, oltre alla Bielorussia alleata di Mosca. Un cuscinetto che la “rivoluzione arancione” e le ingerenze atlantiche nella situazione interna ucraina hanno messo progressivamente in discussione. Nel 2008, nel vertice di Bucarest, la NATO aveva già messo all’ordine del giorno l’ingresso di Ucraina e Georgia, prospettiva in quel momento raffreddata da Barack Obama – che tuttavia nel 2009 attuò quello di Croazia e Albania. Donald Trump, infine, consentì l’adesione di Montenegro (2017) e Macedonia (2020). Nel frattempo, altra benzina veniva aggiunta nel 2014 dall’annessione della Crimea da parte della Russia e dalla violenta contesa nel Donbass e la dichiarazione di indipendenza delle repubbliche popolari di Doneck e Lugansk, con una situazione di guerra civile strisciante non sopita dagli accordi di Minsk.

Da ultimo, con Joe Biden, in carica da gennaio 2021, gli Stati Uniti hanno ripreso a sostenere il percorso di ammissione di Ucraina e Georgia, oltre che della Bosnia ed Erzegovina. Così che, l’8 giugno 2021, il Segretario di Stato Antony Blinken poteva dichiarare formalmente al Senato statunitense: «Noi sosteniamo l’adesione dell’Ucraina alla NATO».

Si è arrivati in questo modo alla Dichiarazione congiunta di partenariato strategico Stati Uniti-Ucraina sottoscritta il 1° settembre 2021, transitorio punto di arrivo di un percorso di allargamento a Est dell’Alleanza atlantica che ha visto i paesi aderenti passare da 16 a 30. Un processo, destabilizzante gli equilibri geopolitici, cominciato traumaticamente con la guerra e scomposizione dell’ex Jugoslavia dei primi anni Novanta del secolo scorso. Infine, il 19 gennaio 2022 gli Stati uniti annunciavano nuovi aiuti militari all’Ucraina per 200 milioni di dollari, in aggiunta ai 450 milioni già accordati. Poco più di un mese dopo, le truppe russe entravano in Ucraina.

Ferme restando le responsabilità della Russia e di Vladimir Putin, è questo il percorso che ha portato alla guerra nel cuore dell’Europa. Guerra che è solo l’ultima di una serie ininterrotta che insanguina il mondo da almeno trent’anni nel quadro di una dottrina della “guerra infinita” elaborata dagli Stati Uniti e che vedeva già un bilancio di un milione di morti, la devastazione di intere aree come il Medio Oriente, con decine di milioni di profughi e sfollati, e un disordine globale ormai fuori controllo.

Il tragico bilancio

I risultati di tale criminale strategia sono condensati in un progetto di ricerca condotto dal Watson Institute for International and Public Affairs presso la statunitense Brown University: in un ventennio, nelle guerre post 11 settembre, tra tutte le parti in causa, almeno 929.000 persone sono morte direttamente a causa dei conflitti militari, il gruppo più numeroso (oltre 370.000) è costituito da civili, mentre un numero decisamente maggiore è rimasto vittima degli effetti indiretti; 38 milioni di persone sono state sfollate in Afghanistan, Pakistan, Iraq, Siria, Libia, Yemen, Somalia e Filippine; tali guerre hanno contribuito in modo significativo al cambiamento climatico e sono state accompagnate da erosioni delle libertà civili e dei diritti umani nei paesi coinvolti e negli stessi Stati Uniti; la gran parte dei finanziamenti del governo americano per la successiva ricostruzione in Iraq e in Afghanistan sono stati in realtà indirizzati all’armamento delle forze di sicurezza, mentre gran parte delle risorse destinate agli aiuti umanitari e alla ricostruzione della società civile sono andate perse a causa di frodi, sprechi e abusi.

Altrettanto eloquenti altri due dati che emergono dallo studio: il costo di tali guerre per il bilancio pubblico americano ammonta a circa 8 trilioni di dollari, cifra che peraltro non include i costi futuri per interessi sui prestiti bellici e per l’assistenza ai veterani; dei complessivi oltre 14 trilioni di dollari spesi dal Pentagono dall’inizio della guerra in Afghanistan sino al 2021, da un terzo alla metà è stato destinato ad appaltatori militari.

La privatizzazione della guerra

Si tratta di cifre enormi, indicative di una realtà che ovviamente non riguarda i soli Stati Uniti ma, in generale, quel “complesso industriale-militare” globale e quel processo di privatizzazione della guerra cominciato a massificarsi con la guerra in Iraq, ma divenuto più noto al pubblico solo con le cronache belliche dell’Ucraina e l’operato del gruppo russo Wagner.

Già all’inizio di quel conflitto, il Gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sull’uso dei mercenari ha espresso le proprie preoccupazioni sul fatto che «in molti casi, la presenza di questi attori privati prolunga il conflitto, agisce come fattore destabilizzante e mina gli sforzi di pace» e aumenta il rischio di violazioni dei diritti umani e violazioni del diritto internazionale umanitario; violazioni che, inoltre, crescono e si diffondono grazie anche alla loro impunità: «Il Gruppo di lavoro ha ampiamente evidenziato i modelli di gravi abusi e violazioni commessi impunemente da questi attori, come esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate, stupri, violenze sessuali e di genere, detenzioni arbitrarie e torture. Sono anche noti per prendere di mira indiscriminatamente i civili» (UN Working Group on the use of mercenaries, 4 marzo 2022).

Le società militari e di sicurezza private oggi all’opera sono l’evoluzione del tradizionale mercenarismo diffusosi in particolare nel secolo scorso nei contesti coloniali, un fenomeno anch’esso denunciato dalle Nazioni Unite, la cui Commissione per i Diritti Umani nel 1987 aveva nominato un “Relatore speciale sull’uso dei mercenari come mezzo per impedire l’esercizio del diritto dei popoli all’autodeterminazione”.

Nei mutati contesti attuali, quei mercenari, assunti e regolarizzati da moderne compagnie private che forniscono e vendono “servizi” militari e di sicurezza, sono stati nobilitati col nome di contractors, mentre il diritto internazionale umanitario e le normative ancora non hanno saputo adeguarsi per fronteggiare il fenomeno, di cui, paradossalmente, si avvalgono le stesse Nazioni Unite nelle operazioni di peacekeeping e che fattura cifre importanti e in vistosa crescita (241,7 miliardi di dollari nel 2021).

La guerra non è dunque solo un insieme di crimini, ma un gigantesco affare. Consente profitti incalcolabili da un lato, mentre, dall’altro, provoca tagli della spesa sociale, impoverimento massiccio, inflazione e disoccupazione, crisi alimentari, riscaldamento climatico, gravi danni ambientali (in Ucraina il conflitto in corso ha già danneggiato seriamente circa 1,24 milioni di ettari delle riserve naturali, vale a dire un quinto delle aree protette, oltre a 3 milioni di ettari di foresta), restringimento della democrazia, annullamento delle libertà per i cittadini, violazione dei diritti e negazione di giustizia per i popoli.

Sono questi alcuni degli aspetti analizzati nel 20° Rapporto sui diritti globali appena pubblicato e realizzato dalla Associazione Società INformazione. Di tutto ciò, ma anche di come costruire e rafforzare reti e iniziative rivolte alla pace e ai diritti dei popoli, si discuterà a Roma il prossimo mercoledì 22 marzo in una iniziativa promossa da Fondazione Basso, Tribunale Permanente dei Popoli e Associazione Società INformazione/Rapporto Diritti Globali.

 

* Fonte: Sergio Segio e Gianni Tognoni, Transform! Italia

 

Ph: La famille ukrainienne -1940-1943 di Marc Chagall



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