Somaliland. Oltre 200 morti e 185mila profughi, torna la guerra

Somaliland. Oltre 200 morti e 185mila profughi, torna la guerra

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Duri scontri tra le truppe somale e gli indipendentisti

 

È di oltre 200 morti e 185mila profughi il bilancio degli scontri tra le truppe di Mogadiscio e gli indipendentisti del Somaliland. Dal punto di vista di Mogadiscio, secondo quanto dichiarato dal presidente somalo Hassan Sheikh Mohamud a Al Jazeera, «la Somalia sta lavorando a stretto contatto con la comunità internazionale per riportare la pace nella sua regione separatista settentrionale del Somaliland, dopo le crescenti tensioni tra le autorità della regione e le forze dei clan locali» .

I COMBATTIMENTI sono iniziati lo scorso 6 febbraio nei pressi di Las Anod, capitale amministrativa della provincia di Sool, dopo che i capi tribù e i leader religiosi locali hanno rinnegato il governo del Somaliland, chiedendo di tornare sotto l’amministrazione di Mogadiscio. Il conflitto è radicato nell’occupazione della regione di Sool da parte del Somaliland dal 2007. Un’invasione che è osteggiata dalla stragrande maggioranza della popolazione locale, visto che ha causato la morte di oltre 120 persone tra i leader delle diverse tribù e decine di vittime durante le manifestazioni di protesta degli ultimi mesi.

Secondo quanto riporta la Croce Rossa Internazionale, in un comunicato ufficiale di lunedì scorso, gli scontri hanno causato «almeno 200 vittime tra militari e civili, oltre 1000 feriti e più di 185mila profughi nella regione».

IL MINISTRO DELL’INTERNO del Somaliland, Mohamed Kahin Ahmed, giovedì in un comunicato ufficiale ha indicato che «le truppe del Somaliland si sono ritirate dall’area per riorganizzare la riconquista della città» che resta «una priorità» per il governo. Il ministro ha poi accusato le diverse tribù locali di «tradimento».

Il governo somalo ha richiesto «la cessazione immediata delle ostilità e un cessate il fuoco», ottenendo una fragile tregua siglata in questi giorni grazie alla mediazione dell’Etiopia. E ha accusato il governo separatista di «aver colpito prevalentemente civili inermi e le loro abitazioni».

Muse Bihi, presidente del Somaliland, la cui amministrazione è ad Hargeisa – 380 km a ovest – questa domenica ha convocato una riunione del suo governo per valutare la situazione nella zona di conflitto e ha dichiarato che il «governo è aperto alla mediazione, ma non cederà mai la regione di Sool alla Somalia».

In seguito allo scoppio della guerra civile somala e al collasso del regime dittatoriale di Mohammed Siad Barre, nel 1991, la Somalia è stata successivamente divisa in sei stati federali. Il governo centrale dell’attuale presidente Hassan Sheikh Mohamud riesce ad esercitare un controllo su buona parte del territorio (Puntland, Galmudug, South West State, Hirshabelle, Jubaland), mentre restano difficili i rapporti con il Somaliland.

EX PROTETTORATO BRITANNICO, il Somaliland ha dichiarato la propria indipendenza nel 1991 e ha eletto un proprio governo, pur non avendo mai avuto il riconoscimento formale da parte della comunità internazionale. La sua posizione nella parte settentrionale del corno d’Africa lo ha tutelato dagli attacchi da parte del gruppo jihadista degli Al-Shabaab, ma a livello politico le tensioni con il governo centrale di Mogadiscio hanno provocato in questi anni scontri tra le differenti comunità a causa di una continua emarginazione politica, economica e sociale dei diversi clan rimasti fedeli al governo somalo.

A fine febbraio le Nazioni Unite hanno chiesto un’indagine indipendente e imparziale sugli scontri nella regione separatista del Somaliland. «Siamo preoccupati per le notizie secondo cui le tensioni sono aumentate dalla ripresa delle ostilità – ha dichiarato l’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani Volker Türk – anche perché gli oltre 180mila profughi stanno peggiorando la già fragile situazione umanitaria esistente nella regione, colpita al tempo stesso dal terrorismo jihadista e dalla carestia».

* Fonte/autore: Stefano Mauro, il manifesto

 



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