Autonomia differenziata. Gimbe: «Colpo di grazia al Servizio sanitario»
Mobilità per le cure: il Centro-Sud ha accumulato un saldo negativo di 14 miliardi in 10 anni verso le strutture del Settentrione. Cartabellotta: «L’autonomia nella gestione del personale provocherà la migrazione di addetti verso il Nord ponendo una pietra tombale sui contratti collettivi nazionali»
Con il disegno di legge Calderoli «si darà il colpo di grazia al Servizio sanitario nazionale. Aumenteranno le diseguaglianze regionali legittimando normativamente il divario tra Nord e Sud in violazione del principio costituzionale di uguaglianza dei cittadini nel diritto alla tutela della salute»: è il giudizio del presidente della fondazione Gimbe, Nino Cartabellotta, maturato elaborando il report sull’impatto del ddl sulla Sanità pubblica. «Il testo – spiega Cartabellotta – al momento blinda l’autonomia come un affaire tra governo e regioni esautorando il parlamento. Non prevede risorse per finanziare i Livelli essenziali delle prestazioni e consente il trasferimento delle autonomie alle regioni senza recuperare prima i divari tra le varie aree del Paese».
SUI LEP: «Saranno definiti attraverso dpcm da una Commissione tecnica e, in quanto atti amministrativi, potranno essere impugnati solo davanti al Tar ma non davanti alla Corte costituzionale. Formalmente dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini ma restano orfani di risorse, fondamentali per allineare la qualità dei servizi del Centro-Sud a quelle del Nord. Il trasferimento delle funzioni potrà essere effettuato già dopo la definizione dei Lep senza attenderne l’attuazione: l’autonomia precede il recupero dei divari». Emilia Romagna, Lombardia e Veneto hanno già sottoscritto intese nel 2018 con il governo Gentiloni.
ALCUNE RICHIESTE avanzate, secondo Gimbe, «rischiano di sovvertire gli strumenti di governance aumentando le diseguaglianze nell’offerta dei servizi». Come le autonomie richieste su sistema tariffario, di rimborso, di remunerazione e di compartecipazione, di governance delle aziende e degli enti del Servizio sanitario regionale, determinazione del numero di borse di studio per specialisti e medici di famiglia. A queste, già critiche, si aggiungono altre istanze definite «eversive»: istituzione e gestione di fondi sanitari integrativi che «darebbe il via a sistemi assicurativo-mutualistici regionali sganciati dalla, seppur frammentata, normativa nazionale».
E ANCORA: «La richiesta del Veneto di contrattazione integrativa regionale per i dipendenti del Ssn, oltre all’autonomia in materia di gestione del personale e di regolamentazione dell’attività libero-professionale, rischia di concretizzare una concorrenza tra regioni con migrazione di personale dal Sud al Nord, ponendo una pietra tombale sulla contrattazione collettiva nazionale e sui sindacati».
DALLA CLASSIFICA sugli adempimenti rispetto ai Lea 2010-2019, viene fuori che le tre regioni che hanno chiesto maggiori autonomie occupano i posti di vertice: prima Emilia Romagna, terzo il Veneto, quinta la Lombardia. Nelle prime 10 posizioni non c’è il Sud, solo 2 del Centro (Umbria e Marche). Le regioni settentrionali ricevono la quota maggiore del Fondo sanitario nazionale. Non solo, sono anche quelle favorite dalla mobilità sanitaria così le regioni meridionali finanziano la sanità del Nord.
NEL DECENNIO 2010-2019 tredici regioni, quasi tutte del Centro Sud, hanno accumulato un saldo negativo pari a 14 miliardi. Nei primi quattro posti per saldo positivo ci sono Lombardia (più 6,18 miliardi), Emilia Romagna (più 3,35 miliardi), Toscana (più 1,34 miliardi), Veneto (più 1,14 miliardi). Al contrario, le cinque regioni con saldi negativi superiori a un miliardo sono tutte al Centro-Sud: Campania (meno 2,94 miliardi), Calabria (meno 2,71 miliardi), Lazio (meno 2,19 miliardi), Sicilia (meno 2 miliardi) e Puglia (meno 1,84 miliardi). «Questi dati – conclude Cartabellotta – confermano che nonostante la definizione dei Lea dal 2001, il loro monitoraggio e l’utilizzo da parte dello Stato di strumenti quali Piani di rientro e commissariamenti, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i sistemi sanitari regionali, in particolare un gap strutturale Nord-Sud che compromette l’equità di accesso ai servizi e alimenta un’imponente mobilità verso il Nord. L’attuazione di maggiori autonomie non potrà che amplificare le inaccettabili diseguaglianze registrate. Peraltro il Paese ha sottoscritto con l’Europa il Pnrr, il cui obiettivo è proprio quello di ridurre i divari territoriali. La sanità rischia di essere un bene pubblico per i residenti nelle regioni più ricche e un bene di consumo per quelle più povere».
L’ORDINE NAZIONALE DEI MEDICI con il presidente Filippo Anelli: «Un bambino nato in provincia di Bolzano ha una speranza di vivere in buona salute per 67,2 anni, contro i 54,2 di uno nato in Calabria. Chiediamo alla politica, prima di partire con l’autonomia, di colmare le differenze di accesso al servizio sanitario nazionale, di modificare gli indici che danno per privilegiati quelli che, per luogo di nascita o di residenza, hanno una possibilità di sopravvivenza maggiore rispetto a quelli che vivono in aree geografiche più disagiate».
SONO COMINCIATE ieri le trattative per il rinnovo del contratto di lavoro 2019-2021 di 120mila dirigenti sanitari. «Il Ssn – scrive l’intersindacale – si trova a un bivio: se si intende salvarlo, è necessario bloccare la fuga dei medici dagli ospedali e i sanitari dai servizi pubblici, rendere la sanità pubblica attrattiva per i giovani migliorando le condizioni di lavoro e la qualità della vita del personale. L’unico strumento è un contratto di lavoro capace di garantire ruolo, anche nell’organizzazione del lavoro, carriera e condizioni coerenti con il valore sociale e civile dell’attività svolta».
* Fonte/autore: Adriana Pollice, il manifesto
Immagine di Mauro Biani
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