Muro contro muro sul budget gli Usa nel tunnel della paralisi
new york – Molti americani hanno lasciato il lavoro per la pausa del weekend senza sapere se stamattina saranno aperti i parchi nazionali e i musei o se l’Amministrazione federale entra in un tunnel di chiusure e disservizi. Una cosa però gli era chiara: è cominciato ieri il grande gioco politico dello scarica-barile, l’assaggio di una feroce campagna elettorale destinata a concludersi solo con l’elezione presidenziale del 2012. Lo scontro sui tagli alla spesa pubblica è diventato furioso, senza esclusioni di colpi. Più che agli ultimi negoziati in vista della fatidica scadenza di mezzanotte – allo scoccare del sabato scadevano le autorizzazioni di legge per molte spese federali e Washington si trovava senza fondi per pagare 800.000 dipendenti pubblici – la giornata di ieri è stata dedicata agli scambi di accuse. «Noi non svendiamo gli interessi degli americani, quand’è che i democratici affronteranno seriamente il problema della spesa?» ha lanciato il presidente della Camera, il repubblicano John Boehner, alludendo al deficit effettivamente salito a livelli record (1.400 miliardi, quasi il 10% del Pil). «Sulle cifre eravamo quasi d’accordo, ma la destra ha aggiunto pretese inaccettabili contro i diritti delle donne», gli ha risposto il leader democratico del Senato Harry Reid. Grazie alla mediazione di Barack Obama infatti ieri mattina i due partiti erano vicinissimi: 39 miliardi i tagli richiesti dai repubblicani, 37 quelli offerti dai democratici. Ma la pattuglia gli anti-abortisti radicali ha preteso che venissero tolti i fondi a Planned Parenthood, un’agenzia federale per la politica delle nascite che presta servizi sanitari alle donne più povere. «Non c’entra nulla col deficit», ha rincarato Reid. I toni nella giornata di ieri erano già quelli del classico scarica-barile. I due schieramenti erano concentrati sulla «narrativa» da imporre nel dibattito pubblico: se effettivamente scatta da stamattina lo shutdown, cioè chiudono tanti servizi pubblici, a chi daranno la colpa i cittadini? È il primo capitolo della battaglia per la Casa Bianca. In gioco c’è il giudizio sulla leadership di Obama. Il presidente si è sforzato di non appiattirsi completamente sulle posizioni dei democratici. C’era riuscito a Natale portando a casa una manovra fiscale bipartisan, con l’approvazione dell’opinione pubblica. Anche stavolta si è presentato come un mediatore interessato a strappare un compromesso nell’interesse della nazione. «Fermare la macchina dello Stato, proprio ora che l’occupazione comincia a riprendere, rischia di frenare la crescita economica», ha ammonito. Sa che nell’opinione pubblica il Congresso è ai minimi di popolarità , soprattutto quando appare come un’assemblea litigiosa e inconcludente. I repubblicani, secondo il Wall Street Journal, hanno compattato la base militante del Tea Party (al movimento anti-tasse promettono ben 6.000 miliardi di tagli in 10 anni, lo smantellamento di pensioni pubbliche e sanità ) però cominciano a perdere appoggi tra gli indipendenti di centro: gli elettori fluttuanti il cui consenso sarà decisivo per le presidenziali. I democratici sperano di ripetere il «colpaccio» del 1995. Anche allora i servizi pubblici si fermarono per la mancata approvazione del bilancio. Presidente era Bill Clinton, che riuscì a rovesciare la responsabilità sulla destra (maggioritaria al Congresso) e venne rieletto l’anno successivo. C’è una differenza però: allora la destra aveva in Newt Gingrich un «leader unico», riconosciuto e aggressivo, mentre stavolta non ce l’ha e quindi potrebbe schivare l’onda dell’impopolarità . Intanto gli economisti ricordano che i 20 giorni di chiusura dello Stato nel 1995 costarono un intero punto di crescita del Pil. Dipendenti federali lasciati a casa senza stipendio, imprese fornitrici della pubblica amministrazione private di commesse, cittadini alle prese con tanti «sportelli chiusi»: 16 anni fa il colpo fu pesante.
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