Ospedali allo sfascio. Medici pronti alla protesta: «Siamo allo stremo»
L’Anaao-Assomed. «Negli ospedali situazione invivibile. Ogni giorno sette medici ci chiedono come licenziarsi»
«Siamo a un punto di non ritorno». Esordisce così Pierino Di Silverio, segretario dell’Anaao-Assomed, principale sindacato dei medici ospedalieri con 24 mila tessere tra i centomila camici bianchi. «Il sistema delle cure è vicino alla disgregazione». È un film già visto: dopo due anni di pandemia, arriva l’estate e tra virus e ferie la sanità torna vicina al collasso. Le condizioni di lavoro dei medici, spiega il sindacalista, oggi sono al limite. «Il 77% dei medici lavora in burnout, ogni medico ha accumulato in media 50 giorni di ferie non godute». L’ultimo episodio ha riguardato Giovanni Buccoliero, primario all’ospedale Manduria, morto in corsia tra turni massacranti e periodi di riposo non rispettati.
La professione non è più allettante come un tempo. «In un anno abbiamo ricevuto duemila richieste di informazioni sulle procedure per licenziarsi. Significa che 7 medici al giorno vogliono lasciare il lavoro. A farne le spese saranno i cittadini. I medici possono andarsene, ma i malati non possono rinunciare alle cure».
L’Anaao-Assomed annuncia iniziative inusuali per la categoria. «Dal 10 settembre saremo in piazza fino all’insediamento del nuovo governo. Si arriverà allo sciopero, che bloccherà il servizio sanitario, ma sarà una mobilitazione permanente, non di un giorno solo. La questione sarà portata di fronte ai cittadini».
Il grido di allarme di Di Silverio arriva non a caso pochi giorni dopo la crisi di governo. «Si era iniziato un percorso per dare soluzione al problema delle condizioni di lavoro dei medici, ma la politica ha preferito dare priorità ad altre istanze». Non che il governo precedente fosse esente da errori. «Il governo Draghi avrebbe già potuto affrontare le questioni che abbiamo posto e non l’ha fatto» dice Di Silverio. «Ai medici sono state date medaglie e gagliardetti dopo l’emergenza Covid-19. Ma nel Pnrr la sanità è finita al capitolo 6, l’ultimo, dov’è stato stanziato un miliardo di euro per assumere medici a cottimo. Il governo non ha rimosso i tetti di spesa regionali per assumere nuovi medici».
Le criticità, oltre al tetto di spesa che impedisce alle regioni di assumere nuovi medici, riguarda soprattutto l’organizzazione del lavoro e degli ospedali. Gli standard sono ancora quelli fissati dagli sciagurati decreti Lorenzin del 2015, che hanno portato il numero di posti letto ai livelli più bassi d’Europa o quasi (tre ogni mille abitanti). Prima di dimettersi, il governo aveva pronta una nuova bozza di riforma. «Avrebbe aumentato solo i posti letto di terapia intensiva e sub-intensiva. Ma i posti in più sarebbero stati riconvertiti da altri reparti, non aggiunti davvero», spiega Di Silverio. Invece in ospedale serve un cambiamento profondo, secondo il medico. «Quando si fissano gli standard, bisogna tenere conto che la popolazione diminuisce, ma allo stesso tempo invecchia. Paradossalmente, oggi abbiamo bisogno di più posti letto per meno persone». L’anello debole dell’ospedale oggi è il pronto soccorso. «Vanno riorganizzati i dipartimenti di emergenza, mettendo i collegamento il territorio con l’ospedale. Oggi chi sale su un’ambulanza non sa in quale ospedale è diretto. E per i medici urgentisti va ridisegnata la carriera: non è possibile che chi inizi in pronto soccorso si faccia notti, veda i pazienti morire, rischi le botte e arrivi alla pensione con lo stesso inquadramento». Questo, insieme alla difficoltà di svolgere la libera professione, è il motivo per cui oggi i giovani medici interessati a lavorare in pronto soccorso scarseggiano.
Quando si parla di rivendicazioni Di Silverio tradisce qualche accento corporativo: «la nostra non è una lotta di classe ma di categoria», «siamo trattati alla stregua dei dipendenti della Pubblica Amministrazione», «Draghi ha contrattato la defiscalizzazione con i sindacati e non noi che l’abbiamo proposta per prima». È vero che i medici ospedalieri sono una figura ibrida, con i vantaggi economici della dirigenza ma un’organizzazione del lavoro rigida come quella dei dipendenti. Ma chi non fa parte della categoria potrebbe storcere il naso e questo potrebbe indebolire la mobilitazione dei medici. I problemi sottolineati però sono reali: la pandemia e gli errori di programmazione del passato hanno indebolito i nostri ospedali, invece di rafforzarli. Senza provvedimenti l’emorragia di medici continuerà.
* Fonte/autore: Andrea Capocci, il manifesto
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