Tunisia alle urne, tra le proteste in strada e la democrazia sospesa
Tre manifestazioni in due giorni contro le due tornate elettorali che da domani ratificheranno l’avvento del regime ultra presidenziale di Kais Saied
Tre manifestazioni in due giorni, mille persone in totale e la netta sensazione che non serva aspettare la giornata di domani per vedere compiuti i piani del presidente della Repubblica Kais Saied: l’accaparramento totale dei poteri in Tunisia.
Da un anno a questa parte il responsabile di Cartagine mantiene un controllo fermo sul Paese dopo avere sciolto il governo, congelato il parlamento ed esautorato di fatto la magistratura. Domani 25 luglio, anniversario della festa della Repubblica, ci sarà il primo dei due turni elettorali che sanciranno la fine del processo democratico in corso da undici anni nel paese, il referendum costituzionale pensato e strutturato per seppellire il testo del 2014 e imporre un regime ultra presidenziale. Il secondo è fissato per il 17 dicembre con le elezioni presidenziali e legislative, giorno dell’immolazione di Mohamed Bouazizi nel 2010 e data simbolo delle cosiddette primavere arabe.
Dalla sua elezione nel 2019 Saied ha dimostrato la non apertura verso un dialogo nazionale che potesse portare soluzioni alla crisi economica e sociale che da anni affligge la popolazione tunisina valutando, forte del suo consenso popolare, di potere risolvere da solo i problemi strutturali del piccolo Stato nordafricano.
SEMPRE DA UN ANNO a questa parte le opposizioni non hanno invece trovato una sintesi comune per manifestare il loro dissenso, divise tra chi ha governato undici anni la Tunisia in maniera pessima secondo i suoi cittadini (il partito di ispirazione islamica Ennahda), il partito di Abir Moussi, avvocata e volto nostalgico del regime autoritario di Zine El-Abidine Ben Ali e la sinistra insieme alla società civile che si era costruita dopo la Rivoluzione della libertà e della dignità del 2011.
Sono stati proprio i ricordi legati ai momenti rivoluzionari a portare questi ultimi a scendere per la prima volta in avenue Habib Bourguiba dopo il colpo di forza di Saied. Venerdì scorso poche centinaia di persone tra rappresentanti di partiti politici e organizzazioni come il Sindacato nazionale dei giornalisti tunisini (Snjt) o della Lega tunisina dei diritti dell’uomo (Ltdh) non hanno fatto in tempo a cominciare una marcia verso il ministero dell’Interno che è arrivata la pesante reazione della polizia. Gas urticanti, manganellate e cariche hanno occupato la via centrale di Tunisi disperdendo la folla.
«Dopo l’approvazione della costituzione sappiamo bene che non sarà più possibile scendere per strada e non ci sarà più alcun tipo di controllo – le parole di Jouda Ayachi, attivista queer di Damj, associazione tunisina per la giustizia e l’uguaglianza di genere – oggi siamo venuti qui perché stiamo entrando in una dittatura. Noi siamo contro chiunque rappresenti un pericolo per la democrazia, compresi Ennahda e Abir Moussi. Dobbiamo sbrigarci e difendere i nostri diritti e le libertà che abbiamo conquistato».
VENERDÌ GLI ORGANI di stampa hanno parlato di almeno nove arresti accertati e diverse aggressioni a giornalisti tra cui il presidente dell’Snjt Mehdi Jelassi, il quale ha bollato come «fasciste» le pratiche utilizzate dalle forze dell’ordine.
Nonostante il basso tasso di partecipazione e i numerosi casi di violenza della polizia, chi c’era ha dichiarato di non volere alzare bandiera bianca. Non lo farà sicuramente il segretario del partito dei lavoratori Hamma Hammami, volto storico dell’opposizione a Ben Ali che oggi si prepara a fare altrettanto con Saied: «Avenue Bourguiba è la via della rivoluzione e appartiene a chi ha deciso di manifestare. Quello che è successo ha mostrato il vero volto del presidente. In Tunisia abbiamo vissuto undici anni di crisi, corruzione e un processo democratico distorto. Ora però Saied vuole imporre un nuovo regime autoritario ma sono sicuro che farà la stessa fine di Ben Ali. Noi siamo contro questo referendum che è un’operazione di facciata e non ha alcun tipo di valore, d’altronde già oggi sappiamo quale sarà l’esito della consultazione».
ARCHIVIATA LA GIORNATA di venerdì, ieri è stato il turno dei militanti di Ennahda e di Abir Moussi, avversari storici dal 2011. Tuttavia si sono ritrovati a poche centinaia di metri, i primi in avenue Bourguiba, i secondi in Rue de Rome di fianco alla cattedrale cristiana della capitale per esprimere il loro dissenso a Kais Saied. Lo hanno fatto per motivi diversi: il partito di ispirazione islamica per rientrare nella legittimità costituzionale e nel suo ruolo di protagonista della fase post rivoluzionaria; Abir Moussi e i suoi sostenitori per cercare di non perdere i panni di favoriti alle ipotetiche elezioni presidenziali che si sarebbero dovute tenere nel 2024 se non ci fosse stato il colpo di forza presidenziale un anno fa. La Tunisia ha quindi vissuto una due giorni di mobilitazione generale e divisa che non sembra bastare, con Saied che dall’alto del palazzo di Cartagine è in attesa di vedere compiuto domani il suo disegno ultra presidenziale.
* Fonte/autore: Matteo Garavoglia, il manifesto
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