Stati Uniti. Dopo l’aborto, la Corte suprema all’attacco dell’ambiente
Una sentenza devastante dei giudici super conservatori annulla i poteri regolatori dell’agenzia di protezione ambientale degli Stati uniti
Prosegue il golpe (non tanto) strisciante della corte suprema Usa che in piena paralisi del potere politico sta mettendo in pratica l’autoritarismo della minoranza repubblicana sotto l’impulso della fazione estremista installata da Trump.
Dopo aver abrogato i diritti di metà della popolazione (l’aborto), aver inferto un duro colpo alla separazione di stato e chiesa (preghiere nelle scuole) e aver imposto di fatto il porto d’armi universale, ha emesso la sua sentenza più tossica (letteralmente) con una decisone che devasterà l’ambiente americano e non solo.
La sentenza toglie all’Environmental Protection Agency (Epa, una sorta di ministero per l’ambiente) la facoltà di emettere normative vincolanti sull’inquinamento atmosferico industriale, cioè di perseguire la propria stessa missione di protezione ambientale. Una decisione che dimostra come la crisi costituzionale in cui i neoteoconservatori stanno precipitando il paese riguardi tutto il pianeta.
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La sentenza che vanifica la regulation sui limiti del riscaldamento atmosferico esprime il negazionismo eco terrorista della corte deviata dai nazionalpopulisti e prosegue l’opera che aveva iniziato Trump con l’abbandono dei trattati di Parigi (poi nuovamente sottoscritti da Biden).
Ma la decisione va oltre e, mentre il pianeta cuoce, mira a sabotare attivamente i tentativi (già insufficienti) di rallentare la catastrofe. Anche qui è esplicita la longa manus di Trump, che a suo tempo aveva preso di mira la stessa agenzia nominando al vertice Scott Pruitt, già avvocato dell’associazione dei petrolieri.
Messo capo del pollaio, la volpe Pruitt ha avviato una sistematica rottamazione dello stesso smantellando il proprio dicastero pezzo a pezzo con trasferimenti di scienziati, licenziamenti di commissari, censurando rapporti scientifici sul mutamento climatico. Ma perfino quest’opera metodica non era riuscita ad essere efficiente come la Corte suprema, che con una semplice firma ha neutralizzato l’abilità dell’authority a limitare le emissioni tossiche.
La sentenza è devastante perché la Corte è l’organo al vertice del sistema giuridico e come tale invalida tutti i procedimenti dei tribunali ad essa sottoposti.
Annulla cioè proprio quei fragili canali giuridici che sono stati fondamentali in innumerevoli battagli ambientaliste vinte grazie ad ingiunzioni ottenute da tribunali locali e federali a tutela di ambiente, territori, ecosistemi e specie animali.
Ricorrendo ai tribunali, gli ambientalisti americani hanno potuto chiudere oleodotti, fermare fabbriche inquinanti, smantellare centrali obsolete e in generale intervenire dove lo stato non aveva saputo o potuto farlo.
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La Corte deviata ha ora apertamente mostrato di voler impedire ogni ulteriore progresso di attivisti e del governo, che senza uno strumento regolatore non potrà più conseguire nemmeno gli obiettivi minimi che aveva fissato il presidente democratico.
Quest’ultima sentenza è quindi l’ulteriore dimostrazione del fatale squilibrio in cui versa il governo della superpotenza occidentale. Col Congresso – e l’agenda Biden – in stallo per via dell’ostruzionismo repubblicano predicato sulla regola della super maggioranza (il “filibuster”) una corte suprema ormai radicalizzata ha sostanzialmente dato mano libera al programma ideologico e liberista lasciato a metà da Trump.
Alla luce della gravità della situazione, mentre il Presidente era in Europa per il vertice Nato, dalla Casa bianca sono giunti i primi segnali, a lungo invocati dalla sinistra Dem, sulla volontà di Biden di modificare tramite l’esecutivo la regola della super maggioranza e varare una legge di emergenza di tutela federale dell’aborto.
Per Biden e il suo partito però il tempo sta scadendo. Previsioni e sondaggi danno per certa la riconquista del Congresso da parte dei Repubblicani alle elezioni mid-term di novembre. Il passo successivo in questo caso sarebbero quasi certamente leggi in senso opposto: in primis il divieto federale e nazionale sull’aborto.
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A gettare altro sale sulle ferite democratiche, la Corte ha anche indicato che nella sua prossima sessione di udienze esaminerà un caso che potrebbe sancire ufficialmente il diritto dei governi dei singoli stati di selezionare in autonomia i grandi elettori per l’elezione del presidente. Sarebbe lo strumento istituzionale per permettere al GOP, il partito della minoranza popolare (ma di una maggioranza di governi statali) di finire quello che i trumpisti avevano iniziato al Campidoglio il 6 gennaio: sovvertire la volontà popolare e riprendersi in ogni modo la Casa bianca nel 2024.
* Fonte/autore: Luca Celada, il manifesto
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