L’affondo del Cavaliere “Dai pm brigatismo giudiziario dobbiamo dargli una lezione”

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ROMA – La vuole studiata a tavolino la sua vendetta sui giudici. Fredda, cerebrale. La pretende dai suoi messa a segno senza sbavature. Perché per lui «quei pm sono come le Br». Il premier ha di fronte, a via del Plebiscito, lo stato maggiore del Pdl. E pure la Lega. E pure i Responsabili. C’è Alfano, appena tornato dagli Usa. E Ghedini, l’avvocato. Li ha voluti tutti, prima del voto alla Camera sul conflitto di attribuzioni. Prima del voto sulla prescrizione breve. Ha un ordine di quelli che non si possono discutere: «Deve filare tutto liscio. Voglio una maggioranza inappuntabile. Niente casi La Russa. Oggi cominciamo a dare ai giudici una lezione definitiva. Dobbiamo essere compatti, nessuna occasione per attaccarci». Poi, mostrando l’ultimo sondaggio di Euromedia che lo entusiasma: «Se si votasse domani saremmo ancora al primo posto, il Pdl al 29,7%, Pd al 27, il terzo polo sotto il 10 con Fini poco sopra il 2». Inevitabile parlare di intercettazioni, quei colloqui con le ragazze che lo coinvolgono direttamente. «Pensano di avermi fatto un danno mettendole, del tutto fuori dalla legge e dalle regole, nel fascicolo? Si sbagliano. Mi aiutano perché quelle telefonate dimostrano che io non ho fatto nulla, e loro sono sempre e solo dei persecutori». Il Cavaliere ne ha parlato con Ghedini e con Alfano. Adesso può sfoggiare nonchalance: «Sapete che vi dico? Magari saremo noi a chiedere l’autorizzazione per poter utilizzare queste telefonate». Una sfida per vedere se non sono stati proprio i pm a truccare le carte, a lasciare da parte conversazioni che dimostrano «l’innocenza e la trasparenza» dei suoi colloqui. Berlusconi torna sul processo volutamente falsato. Sui pm di Milano che se lo sono voluto tenere per forza invece di passarlo al tribunale dei ministri. Su quel rito abbreviato che è stato «la più grave delle scorrettezze». A questo, adesso, bisogna mettere un argine. Ora che, il Cavaliere ne è certo, la maggioranza è sempre più forte nei numeri. Lui e i suoi sono certi di poter contare su 323 voti alla Camera. Questo apre la strada all’ultima mossa per stoppare il processo di Milano. Dopo il conflitto di attribuzioni, ecco la carta dell’improcedibilità , una delibera della Camera in cui si sancisce che la (presunta) concussione è un reato ministeriale, sul quale la stessa Camera, per l’articolo 96 della Costituzione, non dà  l’autorizzazione a procedere. Per farlo servono almeno 316 voti, la maggioranza assoluta. Il vertice del Pdl è pienamente allertato sulla prossima mossa. La condivide. Deve solo studiarne i tempi. Non sarà  domani. Forse neppure dopodomani. Ma «non appena i giudici di Milano dimostreranno di non tenere nel giusto peso il passo politico del conflitto di attribuzioni». Il coordinatore Denis Verdini ipotizza questo percorso: «Noi oggi mandiamo il conflitto alla Consulta. I magistrati dovranno fermarsi, rispettare il Parlamento e aspettare il verdetto degli alti giudici. Non possono assumersi la responsabilità  di andare avanti comunque. Se lo facessero sarebbe un atto di sfida politica alle Camere». Ma è Ghedini il primo a sapere che invece le toghe di Milano non si fermeranno. Scherza, in Transatlantico: «Io non ho fiducia nei giudici donna? Mavalà …sono vissuto in regime di matriarcato, ho quattro sorelle avvocato. Se dichiarassi una cosa del genere non potrei più tornare a casa». Lo dice, ma proprio lui è stato il primo a teorizzare l’improcedibilità  come strumento che contrappone il potere del Parlamento a quello dei giudici. Questo è il prossimo scontro tra Berlusconi e i magistrati. Una Camera che vota per la non procedibilità  del premier. Insiste Verdini: «Di fronte a quella i magistrati dovranno per forza chiudere il processo o sollevare un conflitto di potere alla Corte». Certo non è un caso se, giusto ieri, a teorizzare l’indiscusso potere delle Camere sulla natura di un reato, se ordinario o ministeriale, sia stato il finiano Giuseppe Consolo. Sfidando la collera del suo gruppo, con un Lo Presti inviperito per aver sostenuto la tesi opposta nella giunta per le autorizzazioni, tra i mormorii di Granata e Briguglio, con una Bongiorno memore degli scontri in commissione Giustizia sul lodo Consolo, lui è andato avanti lo stesso. Ha posto, nella piena condivisione di Ghedini, le basi teoriche per elevare la causa dell’improcedibilità . Raccontano che abbia voluto intervenire minacciando di votare contro o di andarsene dal gruppo. Fini, cui preme in questo momento dimostrare la sua assoluta terzietà  come presidente della Camera, non lo ha fermato. «Chi è il giudice della ministerialità ?» si è chiesto Consolo in aula. E si è risposto: «Le Camere sono i giudici della competenza». Addio, per questa via, al processo per Ruby. Pure con la pezza d’appoggio fornita dal “nemico” Fini.


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