Il Pride sfida il silenzioso deserto dei diritti
A Roma torna a sfilare la comunità Lgbt+ e non solo. La pace declinata con il rispetto della diversità. «E ora subito una legge»
Contro il silente deserto dei diritti che solo qualcuno può chiamare pace, torna il rumore del Pride. Orgoglio del proprio orientamento sessuale, orgoglio della propria identità di genere, orgoglio del proprio corpo in transizione da esibire ancora con i cerotti della post chirurgia, orgoglio di vivere in un Paese – e soprattutto in un’Europa – dove ancora c’è o dovrebbe esserci spazio per reclamare i propri e gli altrui diritti. Orgoglio di portare i colori dell’arcobaleno, che mai come quest’anno diventano duplice simbolo di pace e di diritti civili. Inscindibili. Non c’è l’una senza gli altri. Dopo due anni di silenzio, torna a sfilare a Roma (ma anche a Genova, Bergamo e Dolo contemporaneamente, e da qui fino al 24 settembre l’Onda Pride 2022 investirà anche molte altre città italiane) il popolo Lgbtqia+. E non è solo.
«SIAMO TORNATI, siamo tanti, a fare rumore», urla la cantante Elodie, madrina di questa edizione, dal suo sound truck, uno dei quindici che hanno sfilato insieme a centinaia di migliaia di persone per le strade della capitale. È una festa e una manifestazione, c’è leggerezza e profondità, ma non c’è rabbia. Pura consapevolezza. Che a qualcuno non va giù, come quel tale che a bordo di un grosso suv percorre le vie che lambiscono la manifestazione sparando a tutto volume «Faccetta nera». Ma era lui la pecora nera; la gioia e l’orgoglio l’hanno seppellito vivo.
DIETRO LO STRISCIONE di apertura «Torniamo a fare Rumore» sfilano insieme a Vladimir Luxuria e per tutto il tragitto, da piazza della Repubblica fino a Piazza della Madonna di Loreto, il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri (a coprire un vuoto che durava da cinque anni), il presidente della Regione Lazio Nicola Zingaretti, l’ex presidente della Camera Laura Boldrini e molti minisindaci, amministratori comunali e regionali, parlamentari. Ci sono rappresentanti del Pd e di +Europa, dei Radicali e perfino un cartello che rivendica il «Comunismo queer». Il serpentone rainbow si apre al grido: «Sempre orgogliosi e orgogliose, sempre antifascisti e antifasciste». Ma è in quei corpi – giovani e vecchi, di bambini e di malati, nelle carrozzine o sulle sedie a rotelle – che sembra abbiano atteso tutta la vita per esibirsi, per esibire i propri desideri, le proprie pulsioni e la propria identità, che si concretizza quell’essere antifascista.
«ESSERE QUI È DOVEROSO. Roma deve essere in prima fila per i diritti e contro ogni discriminazione», dice ai cronisti Gualtieri, che a proposito di pace aggiunge: «Dobbiamo oggi stare vicini a tutte le persone che sono vittime non solo di questa guerra di aggressione della Russia di Putin ma anche delle politiche di discriminazione contro i diritti e la comunità Lgbt in Russia. Oggi dobbiamo essere vicini anche a loro». E Zingaretti: «Il Pride è soprattutto un’esplosione di vita, di voglia di rapporto con gli altri. Non può che far bene a tutte e a tutti, anche a chi non è venuto. Il diritto alla differenza e all’essere se stessi è un sentimento positivo».
L’«AFFOLLATA presenza di politici nazionali e locali al Roma Pride» è ben vista dal portavoce del Partito Gay-Lgbt+, Solidale, Ambientalista e Liberale, Fabrizio Marrazzo, che però chiede «azioni concrete e non solo passerelle». Per questo, aggiunge, «dopo il fallimento della legge al Senato contro l’omotransfobia abbiamo chiesto ad oltre 100.000 consiglieri Regionali e Comunali, appartenenti a circa 8 mila enti, di fare un gesto concreto per la comunità Lgbt+.
Come azione concreta chiediamo di approvare la nostra proposta di delibera che può sanzionare con una multa di 500 euro studenti, docenti, lavoratori e chiunque fa propaganda di odio o discrimina le persone Lgbt+, donne e persone con disabilità, come oggi già avviene per chi lo fa contro neri ed ebrei ad esempio, anche in assenza di una legge nazionale, grazie a delibere regionali e comunali valide nei territori di competenza». Un modo per superare «l’immobilismo del Parlamento».
Inoltre, dice, «il ricavato delle sanzioni andrà a costituire un fondo a disposizione degli Enti per pervenire l’odio contro le persone Lgbt+». Mentre la Casa Internazionale delle Donne chiede l’approvazione immediata del ddl Zan, per il segretario generale di Arcigay Gabriele Piazzoni, «i quasi cinquanta Pride italiani di quest’anno, un record in Europa, sono il contrappeso del nulla di fatto della politica. Esiste in Italia un’emergenza diritti che riguarda le persone lgbtqi+ e tutti i gruppi sociali discriminati. È un’emergenza, che provoca solitudine, fragilità, violenza, abbandono, ostacoli».
ERA IL LONTANO 1994 quando il Circolo di cultura omosessuale Mario Mieli, con l’Arcigay, diede vita al primo Gay Pride a Roma. Eppure quello che ha sfilato finalmente di nuovo nelle strade romane ieri sembrava animato da uno spirito rinnovato. Amore e politica. Peace and love. Stop the war. «Pride to be in Europe», «Fuori dal medioevo».
C’è per la prima volta il colorato e chiassoso carro della comunità Lgbt+ ebrea #proud&jews, c’è lo spezzone Cristiani Lgbt, ci sono gli «Anziani» gay e lesbiche, ci sono i trenini con i bambini delle famiglie arcobaleno, c’è l’Agedo (famiglie e amici di persone lgbt+), ci sono le rappresentanze delle federazioni di rugby e di volley. C’è – anche questa una primizia – il carro di rappresentanza del Regno unito firmato Great Love is for everyone con l’Ambasciatore britannico in Italia, Ed Llewellyn, da poco arrivato in Italia e già impegnato nella difesa dei diritti delle minoranze. Music made in Britain, of course.
E c’è il sound truck della Cgil: «Solo la pace», porta scritto. Perché? «Perché senza diritti la pace è un deserto».
* Fonte/autore: Gilda Maussier, il manifesto
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