Donna disarmata uccisa a un posto di blocco da soldato israeliano
TERRITORI OCCUPATI. La donna, madre di sei figli, è stata uccisa da un soldato israeliano. «Avanzava in modo sospetto» ha detto il portavoce militare. Ma Ghada Sabatien non aveva armi. Tra domenica e ieri uccisi quattro palestinesi. Il governo Bennett deciso a usare il pugno di ferro dopo i quattro attentati con 14 morti in Israele
Ghada Sabatien cinque anni fa era tornata a vivere a Husan, il suo villaggio a qualche chilometro da Betlemme, dopo aver vissuto in Giordania per dieci anni. A 42 anni si era ritrovata vedova, senza un lavoro e sei figli da tirare su, così ha scelto di rientrata nella sua terra. Da allora è andata avanti con lavori saltuari e dando ripetizioni di matematica, la sua passione concretizzata da una laurea all’università di Betlemme conseguita negli anni ’90. «Ghada – racconta il fratello Raafat – desiderava insegnare in una scuola ma i suoi problemi alla vista, emersi quando era in Giordania, non le hanno permesso di farlo. Quelle difficoltà, forse, hanno influito su quanto è accaduto. Mia sorella era una persona mite, una madre che voleva soltanto vedere i suoi figli diventare adulti».
Ghada Sabatien è stata uccisa domenica da un soldato israeliano. Un filmato girato dalla televisione dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), la mostra mentre si avvicina al posto di blocco. Si ferma, parla con i soldati israeliani, poi muove un passo in apparenza verso uno di loro. Il militare non ci pensa sopra due volte e spara. «Avanzava in modo sospetto, il soldato ha creduto di essere in pericolo», ha detto il portavoce dell’esercito. Ma la donna non aveva armi di alcun tipo. «Era ferita, forse all’ospedale avrebbero potuta salvarla ma i militari non hanno fatto avvicinare nessuno per 15 minuti», riferisce Fadi Hanun, l’operatore che ha ripreso la scena. Quando è giunta all’ospedale, dicono i medici, era già morta, aveva perduto troppo sangue.
Ghada Sabatien è la quarta vittima palestinese nelle ultime 48 ore. L’ultimo è di ieri mattina. Mohammed Zakarneh, di 17 anni. È stato colpito durante un’incursione di un’unita della polizia israeliana a Jenin, città da cui provenivano due degli attentatori che nei giorni scorsi hanno colpito e ucciso a Bnei Brak e Tel Aviv. C’è anche un quinto morto, ad Ashkelon. Si tratta di un israeliano ebreo scambiato per un palestinese. Avrebbe cercato di prendere l’arma di una soldatessa ma è stato freddato da un altro militare presente. Poi le autorità si sono rese conto che era un cittadino israeliano, «instabile» hanno aggiunto i media.
La tensione si aggrava giorno dopo giorno. Il premier Bennett ha promesso che farà uso del pugno di ferro per mettere fine agli attacchi armati che nelle ultime tre settimane hanno ucciso 14 israeliani, 11 civili e tre agenti di polizia. Si moltiplicano le incursioni di reparti speciali dell’esercito e della polizia nei centri abitati cisgiordani, in particolare a Jenin e nei villaggi vicini, e sono decine gli arresti di palestinesi compiuti il più delle volte durante la notte. La tensione ha raggiunto anche Nablus, in particolare la zona della Tomba del profeta Giuseppe, un sito che è meta dei coloni israeliani (due sono stati feriti ieri). Inoltre, tutte le sere da alcuni giorni alla Porta di Damasco di Gerusalemme si ripetono tafferugli e arresti di giovani palestinesi che, dopo la cena che interrompe il digiuno nel mese di Ramadan, si riuniscono sulla scalinata di questo storico ingresso della città vecchia per scandire tutti insieme slogan nazionalistici.
Il partito palestinese Fatah, guidato dal presidente Abu Mazen, in un comunicato diffuso dall’agenzia Wafa, attribuisce a Israele la responsabilità della recente escalation di violenza. All’origine di questo deterioramento, afferma Fatah, è il rifiuto del governo israeliano di riconoscere i diritti del popolo palestinese e l’aver «sbarrato tutte le porte a un processo di pace che conduca alla soluzione dei Due Stati».
* Fonte/autore: Michele Giorgio, il manifesto
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