Referendum. Il paternalismo proibizionista della Consulta

Referendum. Il paternalismo proibizionista della Consulta

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La conferenza stampa del presidente della Corte costituzionale con cui sono stati comunicati i giudizi di ammissibilità degli ultimi referendum ci ha fatto fare un salto indietro nel tempo.  Una voce centrale della politica italiana dei primi anni Novanta, quando per l’appunto veniva adottato il Testo unico sugli stupefacenti. Dopo esser entrato irritualmente nel merito dell’inammissibilità del referendum sull’eutanasia, ha presentato le motivazioni contro l’ammissibilità di quello sulla cannabis.

Col più classico dei paternalismi proibizionisti, Giuliano Amato ha anticipato le motivazioni del no della Consulta: il contrasto con le convenzioni internazionali, il mancato riferimento dei ritagli alla cannabis.

Il quesito mirava a depotenziare gli effetti penali della 309 del 1990 depenalizzando la coltivazione a uso personale. Come spiegato per mesi e ribadito in Corte il 15 febbraio scorso, il testo referendario non violava alcuna convenzione dell’Onu, anche perché, come ricordato dalla Sessione Speciale dell’Assemblea Generale del 2016, le Convenzioni sono da ritenere tanto flessibili quanto interpretabili. A riprova di ciò la decriminalizzazione, se non legalizzazione, di Uruguay, Canada e Malta e 19 Stati USA, senza la loro uscita dalle tre Convenzioni.

A differenza di quanto accade con la cannabis, per ottenere cocaina ed eroina dalle rispettive piante non è sufficiente coltivare, ma occorrono altre condotte come depurazione, sintetizzazione, trasformazione, produzione, fabbricazione che il quesito non interveniva. Così come la detenzione illecita di piante e foglie (che sono elencate nelle tabelle) a fini di spaccio non era toccata dal ritaglio previsto, continuando così a essere adeguatamente punita. La stessa Convenzione del 1961 non obbliga gli Stati a proibire tout court la coltivazione lasciando quindi quella gradualità necessaria affinché il quesito rimanesse nell’ambito degli impegni internazionali dell’Italia.

Il riferimento di Amato alle tabelle delle legge 309/90 ha omesso di ricordare che dall’anno della bocciatura della Legge Fini-Giovanardi (2014) il comma 4 dell’articolo 73 – che definisce le pene per le cosiddette “droghe leggere” contenute nella tabelle II (cannabis) e IV (Benzodiazepine) – è tornato a riferirsi alle condotte contenute nel comma 1. Come motivato nella memoria depositata dal comitato promotore, l’unico effetto dell’intervento abrogativo sarebbe stato rendere penalmente irrilevante la coltivazione a uso personale grazie al già citato permanere delle altre condotte rivolte allo spaccio, in primis la detenzione.

Oltre a confondere “sostanze” con “piante”, Amato ha parlato di «inidoneità» del testo piuttosto che inammissibilità – sviste, o leggerezze, che dal «Dottor Sottile» non ci si sarebbero aspettate. Il fatto che invece siano arrivate all’ultimo minuto ci deve far parlare di “boccone avvelenato”, di decisioni politiche prese sui due referendum che avevano a che fare con scelte individuali senza ripercussioni su salute o ordine pubblico, proposte sottoscritte da quasi due milioni di persone in un’estate di partecipazione popolare diretta come mai se n’erano viste nella storia repubblicana. E dire che era stato Amato stesso ad aver invitato a «cercare di vedere se ci sono ragionevoli argomenti per dichiarare ammissibili referendum che pure hanno qualche difetto».

Leggeremo con attenzione le motivazioni ma, a oggi, in virtù di questa e delle precedenti decisioni della Corte sui referendum sulle droghe, in Italia la legge sugli stupefacenti non può essere modificata per via referendaria né viene degnata di alcuna attenzione politica dalle forze parlamentari. Neanche da quelle che a parole sarebbero a favore di riforme.

La Consulta di questi ultimi due giorni pareva una torre d’avorio dove il popolo sovrano è stato guardato dall’alto senza alcuna attenzione al mutato sentire della società. La naturale ed evidente evoluzione del diritto vivente – si pensi alla decisione della Corte di Cassazione sulla coltivazione ad uso personale del 2019 – o le diverse condizioni internazionali sono stati ritenuti elementi di contorno. Un contorno che con crescente disincanto e disinteresse guarda ai bocconi avvelenati che gli vengono propinati, convinto di non meritarseli.

* Fonte/autore: Leonardo Fiorentini, Marco Perduca, il manifesto



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