Il capo della tendopoli «Tra di noi solo sedici sognavano l’Italia»

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MANDURIA (Taranto) — «Ascoltami bene. Tu non sai cosa sono state queste ultime settimane per tutti noi. Ce la faremo, comunque vada. E io rivedrò Aymen. Ci siederemo al tavolo di un bar nei carrugi. Berremo una birra, sudando per la macaia, e ci racconteremo tutti questi anni perduti» . Hamady Ksouri parla tenendo gli occhi chiusi, come per gustare meglio un’immagine che deve avergli fatto compagnia in molte notti difficili. Lo cercano tutti, tunisini e italiani, vieni al campo che siamo usciti di nuovo. Deve mettere via il sogno e tornare alla realtà . È il portavoce ufficiale della tendopoli di Manduria, il migrante incaricato di trattare per conto degli altri. La conoscenza quasi perfetta dell’italiano e i suoi 42 anni di età  sono stati i requisiti indispensabili per la nomina, avvenuta dopo brevi consultazioni tra i sette gruppi del campo. All’interno della cittadella di contrada Pajoni vige una sorta di federalismo da tenda, ad ogni area appartiene una zona di provenienza. Hamady ascolta tutti, prende appunti su un taccuino, riferisce quali sono le richieste degli ospiti del centro di accoglienza. «Non riusciamo a farvi capire che quasi nessuno vuole rimanere in Italia. Non ci interessa proprio. Io sono uno dei pochi. Vuoi il numero? Eccolo. Sedici in tutto. Quindici hanno parenti o amici a Roma. A me interessa Genova. Lo conosci il vento caldo di Genova, lo sai che macaia è una parola araba?» . La sua molla è un figlio perduto, poi ritrovato e nuovamente smarrito in questi giorni. È per lui che ha scelto di pagare i traghettatori, sbarcare a Lampedusa e finire in questa spianata resa bollente dal sole a picco. Nel 1989 era poco più di un ragazzo. Arrivò a Genova, sposò una donna italiana, nacque Aymen. Nel 1993 si separarono. Lui andò in Francia, a Parigi, cameriere in un ristorante etnico. I gendarmi lo trovarono senza permesso di soggiorno e lo rimandarono a Tunisi. Nel 2008 cominciò a digitare su Facebook il nome del figlio con il cognome della madre. Cominciarono a parlarsi in chat, superarono molte diffidenze e un vuoto durato una decina d’anni, tornarono ad essere padre e figlio. Dieci giorni fa, salendo sulla pilotina che li ha raccolti al largo di Lampedusa, gli è caduto il telefonino in acqua. Dentro c’era il numero di Aymen, e l’indirizzo di una casa dalle parti di via Prè. Hamady ha fretta, come tutti gli altri. Gli pesa anche questo ruolo, perché attira diffidenza e sospetti da parte degli altri. Noi cercheremo di non ribellarci più. Ma voi dovete fidarvi. Dateci questo permesso di andare via. Non vogliamo rubare il vostro lavoro. Là  dentro sognano tutti altri Paesi. Guarda qua» . Mostra una ventina di pagine riempite da un grafia minuta. Sulla prima c’è disegnata a penna una sghemba mappa dell’Europa. In tre giorni, aiutato dai mediatori culturali, il portavoce della tendopoli ha raccolto le destinazioni di trecento suoi connazionali. La meta più ambita è la Francia, la vogliono in 190. Marsiglia è il posto dove i tunisini di Manduria. hanno più parenti o amici. Poi le altre città  sul Mediterraneo, come Tolone e Nizza. Naturalmente Parigi. Una decina di immigrati ha come meta Lione. Alcuni stanno cercando di raggiungere il Belgio per andare ad Anversa, dove accanto al porto c’è un quartiere interamente popolato da tunisini. Poi la Germania, con le aree urbane della Ruhr, Colonia, Bonn e Dusseldorf indicate come approdo. Ultima nella lista dei desideri viene Londra. La tendopoli di Manduria. è solo un collo di bottiglia dal quale sono obbligati a passare. «I ragazzi vogliono la libertà  di muoversi e di andarsene, nient’altro. Cosa vi costa?» . La risposta rimane sospesa nell’aria. Hamady sta camminando sulla provinciale 97, vuole passare il pomeriggio nel centro di Manduria. Le urla che arrivano dalla tendopoli lo costringono all’inversione di marcia. Quasi tutti i tunisini sono usciti in corteo dall’ingresso principale. A fronteggiarli, solo pochi carabinieri. Un ufficiale parla al telefono con un superiore. «Noi siamo in quattro, loro quattrocento, veda un po’ lei…» . Non scappano. Ma non vogliono più tornare dentro. Chiedono di passare la notte sul prato dall’altra parte della strada. Hamady tenta di convincerli. Non ci riesce. Ci prova anche il questore di Taranto, respinto con perdite. Arrivano coperte e materassi. Notte sotto le stelle. Genova e la sua macaia sono ancora lontane. Ma anche qui non mancano luce e follia.


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