Le richieste: rimpatri e coste «bloccate»

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ROMA — Quota fissa giornaliera di persone da rimpatriare, elenco dei mezzi aerei e navali da utilizzare, programma di controllo delle coste con pattugliamenti congiunti: eccolo l’accordo che il governo italiano chiederà  alla Tunisia di sottoscrivere. Ma quella del premier Silvio Berlusconi appare una missione difficile da realizzare. Perché le autorità  locali hanno già  fatto sapere di non essere disponibili alla riammissione di chi è approdato nel nostro Paese. E perché sembra davvero difficile che possa bastare qualche ora di colloquio— per di più con un esecutivo provvisorio che scadrà  a luglio e che viene modificato ogni settimana— per siglare un patto simile a quello con la Libia, che necessitò di un negoziato di oltre un anno. Soprattutto tenendo conto che dieci giorni fa, quando i ministri Franco Frattini e Roberto Maroni volarono a Tunisi con lo stesso obiettivo, fu spiegato come la presenza di poliziotti stranieri a bordo delle motovedette veniva considerata un’ingerenza non tollerabile. «Sono pessimista» , ripete Maroni ai suoi collaboratori. E già  pensa al piano alternativo, pressato dai vertici della Lega che continuano a chiedere «un segnale forte per risolvere l’emergenza» . Non a caso per questa sera è già  stata fissata una riunione con i vertici del Carroccio dove è presumibile che si tornerà  a parlare di quello che Umberto Bossi, con i toni forti a lui ormai usuali, ha già  sollecitato: i rimpatri forzosi. Ponte aereo e navi schierate La nota diramata due giorni fa dal ministero degli Esteri tunisino per ribadire che «nessun impegno è stato preso il 25 marzo scorso con l’Italia» , fornisce l’immagine chiara del clima che si respira in queste ore. E dunque Maroni detta le condizioni: «Potremo dire di aver siglato un accordo soltanto se ogni dettaglio sarà  messo nero su bianco. Vuol dire che ci deve essere comunicato quante persone possiamo mandare ogni giorno, quanti voli possiamo programmare per il ponte aereo, a quante navi sarà  consentito attraccare nei porti locali» . Non solo. «La consegna delle motovedette, delle jeep e delle apparecchiature radar che ci sono state richieste — aggiunge il ministro — potrà  avvenire soltanto quando avremo il piano dei controlli predisposti sulle coste, il numero di uomini impiegati e l’accettazione di una nostra presenza, sia pur senza compiti operativi» . È esattamente il modello del trattato applicato con la Libia. Un bilaterale che in cambio prevedeva la consegna da parte dell’Italia di svariati miliardi per il risarcimento dei danni coloniali e la costruzione di un’autostrada che attraversasse il Paese. Questa volta sul piatto della bilancia ci sono invece 300 milioni di aiuti (oltre a 100 milioni di cui aveva parlato personalmente Berlusconi), una decina di motovedette e una cinquantina di pick up, oltre ai pezzi di ricambio per la manutenzione dei mezzi. Un’offerta che viene comunque giudicata esigua dalla Tunisia perché, come hanno fatto sapere fonti diplomatiche locali, «non risolve il problema dell’accoglienza di chi torna in patria, ma ha perso tutto e dunque il rischio che scoppino proteste oppure vere e proprie rivolte» . La mediazione del Vaticano — per cercare una via d’uscita Maroni farà  pesare sul negoziato anche la disponibilità  espressa in questi giorni dalla Santa Sede. Dopo l’offerta di 2.500 posti nelle strutture della Caritas in Italia da parte del segretario della Cei monsignor Mariano Crociata, il ministro ha avuto contatti con monsignor Domenico Mogavero, il vescovo di Mazara del Vallo che si sarebbe mostrato disponibile a intercedere presso le autorità  ecclesiastiche in Tunisia affinché mettano a disposizione una sede per l’accoglienza di chi rientra. Un argomento in più da spendere durante i colloqui di oggi. E se le resistenze non dovessero essere superate, il Viminale è già  pronto a procedere con il piano alternativo: rilascio del permesso temporaneo di protezione umanitaria per tutti coloro che sono in Italia e che sono già  stati identificati dopo l’approdo a Lampedusa. È la misura che la Lega continua però ad osteggiare. Nelle riunioni ristrette, anche quelle con Berlusconi, i vertici del Carroccio continuano a invocare i rimpatri forzosi pur sapendo che i tecnici del Viminale hanno già  fatto sapere di non ritenere praticabile questa soluzione. Lo spiega bene Claudio Giardullo, segretario del sindacato Silp Cgil che sottolinea come «la riammissione necessita dell’accordo del Paese d’origine perché le alternative sono due: o si abbandonano in acque internazionali i tunisini a bordo delle navi, oppure si deve violare la territorialità  di uno Stato estero. E poiché le scorte a bordo sarebbero indispensabili, bisogna evidenziare come questo tipo di missione non rientri nelle regole di ingaggio della polizia e delle altre forze dell’ordine» . In linea il segretario dell’Associazione Funzionari di polizia Enzo Letizia che ironicamente, ma non troppo, si chiede se «l’Italia ha davvero deciso di dichiarare guerra alla Tunisia» e poi ricorda come «la vera soluzione passa da un intervento serio dell’Unione Europea e da una mediazione con i Paesi del Maghreb per fare fronte a un’emergenza umanitaria che nessuno può più negare» . E proprio di questo parla il segretario del Sap Nicola Tanzi quando torna a chiedere «il potenziamento di uomini e mezzi a Lampedusa e nelle altre aree dove si fronteggia la crisi» .


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