La rabbia degli insorti “Colpiti dai raid Nato”

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LONDRA – Le prime vittime per “fuoco amico” turbano l’offensiva militare in Libia, mentre dietro le quinte della guerra sembra intensificarsi la manovra per cercare una soluzione diplomatica. Circa trenta persone tra insorti e civili hanno perso la vita nel corso di due bombardamenti a Marsa el-Braga e Ajdabiya. «Abbiamo diritto all’autodifesa, se ci sparano addosso», ha detto un portavoce della Nato, ma è presto diventato chiaro che si è trattato di un tragico fraintendimento: in entrambi i casi i ribelli sparavano razzi o colpi di kalashnikov in aria per festeggiare il ritiro delle truppe di Gheddafi. I caccia della coalizione li hanno presi per colpi di contraerea o comunque per un’azione delle truppe fedeli al colonnello e hanno risposto facendo decine di vittime. Intanto si moltiplicano le voci su una trattativa. Saif Gheddafi e altri esponenti del regime avrebbero avuto “parecchie conversazioni” dirette o indirette con i servizi segreti e i governi occidentali, in particolare con la Gran Bretagna ma pure con l’Italia. Lo scopo è capire se può esserci una via di uscita che consenta di mettere fine alla guerra. «Esilio per il colonnello e la sua famiglia in un paese ad essi gradito sì, un futuro ruolo per i figli nel governo della Libia no», è la posizione riassunta da fonti governative britanniche. «Saif conosce molte persone in Gran Bretagna», dove ha studiato (e ieri è saltato fuori che l’ex ambasciatore britannico negli Usa lo aiutò a scrivere la tesi di laurea alla London School of Economics, scandalo che si aggiunge a quelle del milione e mezzo di sterline donato da Gheddafi jr alla prestigiosa università  dopo la laurea), scrive il Daily Mail. «Sa come contattare i servizi segreti. Lo sta facendo tramite intermediari. Sta parlando anche con gli italiani». Un fatto a cui accenna anche il nostro ministro degli Esteri Frattini, pur preferendo «non dare dettagli» (e sulla Libia ieri c’è stata anche una telefonata tra Silvio Berlusconi e David Cameron). Taglia corto Liam Fox, ministro della Difesa del Regno Unito: «Ci sono divisioni all’interno del regime libico». Che poi aggiunge: «La risoluzione dell’Onu non esclude che si possano armare i ribelli, la questione è allo studio e presto prenderemo una decisione». «Armi ai ribelli? Una extrema ratio da discutere solo nel momento in cui fosse veramente l’unica ed esclusiva misura necessaria per proteggere i civili dagli attacchi di Gheddafi», ribadisce il ministro degli Esteri italiani Franco Frattini. Ma la trattativa di Saif si tinge di giallo per la notizia, peraltro da verificare, dell’arresto in Libia della moglie di Moussa Koussa, il ministro degli Esteri libico fuggito a Londra, potente personaggio, a lungo capo dei servizi di sicurezza. La donna, riporta il Daily Telegraph, sarebbe stata “catturata” a Tripoli e si troverebbe nelle mani della polizia che la sta “interrogando”. Suona come un ricatto in stile mafioso da Gheddafi al suo ormai ex plenipotenziario: se collabori con l’Occidente, tua moglie pagherà . E tuttavia gli esperti di intelligence si domandano: è credibile che un uomo esperto come Koussa abbia deciso di abbandonare Gheddafi lasciando la propria famiglia in Libia, alla mercé del regime?


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