Alla Camera la destra scatena la rissa volano oggetti, Fini colpito da un giornale

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ROMA – Caotica, smodata e un pizzico più feroce di ieri. Come se la piazza e i suoi riti, le parolacce, i vaffa, le pallottole di carta, si fossero trasferiti in aula esportando eguale contegno. Non si sono risparmiati nulla, e si è fatto anche di più. «Fatela stare zitta a questa handicappata di merda». Sembrava che il giorno prima si fosse toccato il fondo. Invece no. Non sono venuti alle mani, però gli insulti hanno navigato con i rotoli di giornali. E si sono trasformati in missili di carta e di odio. Direzione Gianfranco Fini, l’ex amico, colui che non ha permesso ai ministri ansimanti di riuscire a onorare l’obbligo di legge. Per volontà  superiore essi infatti devono interrompere ogni diversa attività  quando ci sono di mezzo le questioni delicate che stanno molto a cuore al leader. I poveretti avevano appena svuotato la sala del consiglio dei ministri per raggiungere – galoppando a rotta di collo, come i cavalli del Palio – il vicino palazzo di Montecitorio e garantire alla maggioranza di essere tale. Le falcate della Prestigiacomo, e i passi più brevi ma intrepidi della Carfagna. Vedere trascinarsi Brunetta e Sacconi e quell’altro, l’ultimo, il più fresco di poltrona e il più pronto nella battaglia, Saverio Romano. Che spettacolo! Alcuni di loro per un pelo non ce l’hanno fatta. Centesimi di secondo. Fini ha dichiarata chiusa la votazione prima che potessero inserire il tesserino elettronico. Da qui la bagarre, il moto stizzito e confuso, parecchio cafone. Insopportabile perché reiterato. Solo dodici ore prima la battaglia non aveva risparmiato né colpi né parole. Indirizzato a lui, Gianfranco Fini, il traditore, ogni risma di carta, tanto che una signora napoletana, ex di Alleanza nazionale, Pina Castiello ha pensato di farne un palloncino. Più resistente all’aria e più contundente. Ha smentito l’onorevole Castiello, però la pallottola di carta è stata sparata, e il clima si è fatto di fuoco. La miccia. Bisognava approvare il processo verbale del giorno precedente che era stato epurato dei «vaffanculo» rivolti da La Russa a Fini. Invece, bocciato. Frustazione, rabbia. Invettive. E dal disordine, il nuovo caos. Angelino Alfano, sempre molto ben misurato nei suoi completi grigi, ha fatto volare il suo tesserino elettronico contro Di Pietro. Anche questo non si era mai visto. Vero, l’emiciclo di Montecitorio nei decenni ha accolto ogni risma di individui urlanti. A palazzo Madama tre anni fa brindarono perfino e un senatore riempì la bocca di mortadella e poi quasi la eruttò. Ma ieri si è constatato che si può fare di più. «Fatela stare zitta a questa handicappata di merda». Un leghista nettamente barbarico, di nome Adriano Polledri, ritiene che Ileana Argentin, tetraplegica, non debba chiedere la parola per protestare nei confronti di un collega che aveva ammonito il suo assistente. Argentin: «Voi sapete che io non posso applaudire e per farlo mi servono le mani di un altro». Applausi di qua, e ancora urla, «vergogna, vergogna». Silenzio gelido di là . E’ troppo. La faccia di Fini – tramortita – ha supplicato una parola di scuse. Che è giunta. Polledri si è scusato pubblicamente, e ha anche ridotto di molto la capacità  di offesa. «Ho detto solo…». Aveva comunque detto troppo. Ha fatto troppo anche Osvaldo Napoli, di solito ben educato, sempre a modo, gentile, misurato. E invece ieri ha perso la testa correndo al banco della Argentin, che è assistita per ogni suo atto da una persona. Ne fa le veci. L’assistente aveva applaudito. Perché la deputata del Pd ha deciso di applaudire il discorso dell’onorevole Bocchino. Il capo dei futuristi, il gruppo di controspionaggio immerso nella pancia della maggioranza. Da qui la corsa di Napoli, da qui l’intimazione all’assistente: «Lei non può applaudire». E’ vero. Ha chiesto scusa. «Umilmente scusa, non avevo mai visto bene e non sapevo». Anche Fabrizio Cicchitto, il capogruppo, ha chiesto scusa. Verba purtroppo volant. E i parlamentari sono recidivi. Ma come sempre accade, dopo le urla di una giornata senza compassione, sono corsi ai loro trolley e usciti da una porticina secondaria. Temevano i fischi. La piazza era invece deserta.


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